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recensione di Bolzoni, L., L'Indice 1996, n. 2
Con il suo ultimo libro, "Il colore eloquente. Letteratura e arte barocca", Ezio Raimondi torna per molti aspetti a un filone di ricerca che ha ampiamente praticato in passato. Libri come "Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano", del 1961, insieme con l'edizione critica dei "Dialoghi" del Tasso e con una rilettura della "Gerusalemme liberata" quanto mai sollecitante e innovativa, hanno infatti segnato una svolta negli studi sul barocco e sull'inquieto periodo, fra Cinque e Seicento, in cui prende forma il mondo moderno.
Di quella ricca stagione di studi questo libro conserva e accentua alcuni caratteri, come l'attenzione alla dimensione visiva, teatrale della scrittura letteraria e della riflessione barocca sulla metafora, o come il gusto di ripercorrere testi spesso peregrini, e di non facile leggibilità, per trarne citazioni, a volte pagine intere, che ancora sanno parlare al nostro presente. È un libro, infatti, che guarda al Seicento dal Novecento e che nello stesso tempo, potremmo dire, fa guardare il Novecento dal Seicento. "Uno storico della cultura - leggiamo infatti - ambirebbe sempre che il suo arretramento nel passato servisse anche a determinare qualcosa del presente, rendendo vera una affermazione di Borges, lo scrittore postmoderno e barocco per il quale alla sera, talvolta, una faccia ci guarda dal fondo di uno specchio. L'arte deve essere come quello specchio che ci rivela il nostro volto. Nello specchio della cultura anche il barocco può essere una di quelle facce, attraverso le quali si può vedere meglio una parte della nostra".
Come guida e mediatore per questo continuo dialogo fra il Seicento e il nostro secolo, Raimondi sceglie Gadda: due saggi incentrati su di lui, "Lo specchio del barocco e le immagini del presente" e "Gadda e le incidenze lombarde della luce", aprono e chiudono il libro, quasi a formare una cornice per i saggi centrali, dedicati a un'analisi del rapporto fra scrittori e pittori nella Bologna del primo Seicento. Le pagine su Gadda indicano chiaramente che 'barocco' è per Raimondi non solo una categoria storica e stilistica, ma una categoria del pensiero. Il realismo grottesco, il "sistema della deformazione conoscitiva", la sistematica incompiutezza narrativa che caratterizzano la scrittura di Gadda vengono letti appunto in chiave barocca, e sono interpretati come i segni di una profonda affinità fra barocco e modernità. A questo punto Raimondi raduna intorno all'opera di Gadda una vera costellazione di testi, che vanno da Wölfflin a Riegl a Benjamin, a Octavio Paz, a Eliot, e sono accomunati proprio dalla rilettura in chiave moderna dell'esperienza barocca.
Temi analoghi, ma in una diversa prospettiva, tornano nell'ultimo saggio. Da un lato la ricerca gnoseologica ed espressiva di Gadda viene ricondotta a una linea specificamente lombarda, tra illuminismo e positivismo, dove compaiono i nomi di Cattaneo e di Tito Vignoli; dall'altra si chiama in campo un grande e vecchio filosofo europeo, Leibniz: egli, scrive Raimondi, rappresentava per Gadda "quasi l'archetipo di un pensiero del molteplice, e forse una tutela di libertà rispetto alle filosofie dominanti dell'idealismo". Il fatto che Leibniz sia stato definito da Gilles Deleuze come filosofo del barocco, permette al critico di ricollegare questa dimensione gnoseologica con un altro filone di indagine che gli sta particolarmente a cuore, e cioè il rapporto quanto mai stretto e peculiare che Gadda ha con Manzoni, e insieme con il Seicento riletto e ricreato dal Manzoni.
Accanto agli interlocutori filosofici e letterari, ecco allora affacciarsi sulla scena un grande interlocutore figurativo: Caravaggio, da cui Gadda è affascinato, tanto che dichiara di provare, di fronte alle sue immagini, "un'ebbrezza mista di gratitudine". Raimondi collega strettamente la riflessione di Gadda sul romanzo con la qualità della sua "lettura" di Caravaggio: "Il 'polipaio' della scrittura - leggiamo - doveva aderire, interrogandolo, all'intrico di ordine e di 'caos' della realtà tragica e comune, grottesca e severa, autentica proprio perché, allo stesso tempo, caricaturale. Essa poteva trovare il proprio emblema figurativo nei 'viventi muscoli dei ladroni' del Caravaggio, con la 'deformazione' che compenetra la sostanza opaca delle masse".
Proprio in questo tentativo di studiare in modo ravvicinato l'intreccio fra letteratura e pittura sta la novità metodologica di questo libro rispetto alle ricerche secentesche che l'hanno preceduto. I saggi centrali sono dedicati, come si diceva, all'ambiente bolognese del primo Seicento, in particolare alla ricerca dei modi in cui l'esperienza pittorica di Guido Reni e del Guercino si è alimentata del clima letterario della città. Sono saggi profondamente legati alla vita culturale bolognese di oggi, come testimonia anche la bella e simpatetica introduzione di Andrea Emiliani: "Raimondi scrive d'arte, e direttamente di pittori - leggiamo -, soprattutto dall'88 a questa parte, e dunque da quando la ripresa delle mostre d'arte antica di Bologna ha riproposto la fortuna di Guido Reni alla più vasta dimensione del mondo occidentale. Insieme, la figura del Guercino, rientrato da Roma in pieno rappel à l'ordre del 1630, ha chiesto di organizzare una comprensione migliore del coinvolgimento di scrittori e di amici attorno all'indubitabile traino di opinione e di fama che l'artista rappresentava".
Oltre che nati da un proficuo dialogo, da un'attiva collaborazione con la stagione delle grandi mostre bolognesi, questi saggi centrali sono anche un atto d'amore per la città, per i suoi ideali di "modernità ordinata", che si esprimono anche nel suo classicismo barocco, per la sua "musica del cuore e della carne che si fa 'casta bellezza', luce intiepidita dall'ombra familiare delle cose".
La Bologna letteraria in cui si colloca l'opera di Guido Reni è ricostruita nella diversità dei generi letterari, nella pluralità dei registri stilistici. I letterati bolognesi appaiono, nella ricostruzione del critico, interessati a un marinismo moderato, pronti a prendere le distanze dagli "amori lascivi" e a tornare al Tasso, sia al poeta della "Gerusalemme", così vitale anche per pittori come Annibale Carracci e Francesco Albani, sia al Tasso degli ultimi anni.
I rapporti fra Guido Reni, il Guercino e i letterati bolognesi sono ripercorsi attraverso una molteplicità di approcci: la ricostruzione di stretti rapporti personali (come ad esempio fra Guido Reni e Virgilio Malvezzi, o fra Guercino e Antonio Mirandola) si intreccia con l'analisi di brani letterari in cui più forti sono le suggestioni figurative; continua è l'attenzione per gli schemi retorici attraverso cui i letterati interpretano anche la vicenda figurativa contemporanea (per cui Reni e Guercino tendono a incarnare la tradizionale opposizione fra stile asiatico e stile laconico).
Se Gadda, come si diceva, è lo scrittore che fa da guida in questa rivisitazione del barocco, si avverte che i saggi qui raccolti hanno un interlocutore ideale: Roberto Longhi. "Nel grande libro su "Vel zquez e il suo tempo" - leggiamo alla fine del terzo capitolo - un testo che Roberto Longhi aveva giustamente caro, Carlo Justi immaginava un diario scritto dal pittore al tempo del suo primo soggiorno romano, tra il 1629 e il 1631. Allo stesso modo... si è tentato di adombrare, se non ricomporre, il Quaderno letterario del Guercino, il repertorio culturale, lo specchio enciclopedico della memoria". E sempre Longhi era stato citato all'inizio del capitolo, là dove si spiega che si è cercato di costruire "una sorta di dialogo tra l'arte e la letteratura e, per un altro verso, tra la letteratura e l'arte, con l'illusione di giungere poi a quello che Roberto Longhi, trovando la cosa sempre difficile, chiamava una rispondenza effettiva".
A questa "cosa sempre difficile", ma affascinante, che è l'analisi dei rapporti fra letteratura e arti figurative, questo libro dà un contributo di grande interesse.
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