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Nel 1564 dodici francescani giunti dalla Spagna incontrano saggi e dignitari del popolo azteco appena assoggettato. Unica copia del manoscritto è emersa dagli archivi segreti vaticani nel 1920.
scheda di Castelnuovo, G., L'Indice 1991, n. 4
"Tutti noi proviamo uno stesso dolore: essere stati sconfitti, privati del potere e della reale giurisdizione del regno è più che sufficiente. Ma i nostri dei e quanto spetta loro, no, non dovete toglierceli. Preferiamo morire piuttosto che abbandonare il loro culto e la loro adorazione". Questa fu la prima replica che, nell'estate del 1524, dignitari aztechi diedero ai dodici francescani inviati da Adriano VI, su richiesta di Hernan Cortés, per evangelizzare lo sconfitto popolo nahua. Sono parole tramandate da un altro francescano, Bernardino de Sahagun che, arrivato in Messico nel 1529, raccolse nei cinquant'anni successivi ampi materiali relativi alla vita e alla cultura autoctone.
Il manoscritto qui pubblicato, composto quarant'anni dopo l'incontro a partire da minute preesistenti, rimase per secoli nell'ombra dell'intransigenza ecclesiastica vincente, prima di venir ritrovato nel 1924, irrimediabilmente mutilo, negli archivi vaticani. Accanto alla "Historia general de las cosas de la Nueva España", grande opera di Bernardino (anch'essa tradotta da Sellerio nel 1983), i "Colloqui" sono uno dei pochi testi cinquecenteschi sul Nuovo Mondo in cui compare un dialogo almeno apparente fra l'élite dominante autoctona e i religiosi europei, questi nuovi conquistatori, membri di un esercito non più scintillante nelle sue armature, ma "colto e preparato". Certo questo fu il primo atto di una conversione di massa che trovava le sue radici proprio nella superiorità militare delle armi castigliane, e dunque del loro Dio. Eppure, fra le pieghe compiaciute di un catechismo per buoni selvaggi, dai sacerdoti messicani ritratti da Sahagun emana un'indubbia dignità. Coscienti di una loro inferiorità, retorica e dialettica, essi appaiono aperti al discorso europeo, così come nella controparte affiora un'analoga attenzione all'ascolto degli indigeni. Come nota nella sua postfazione Vittoria Martinetto, proprio ciò avrebbe potuto porre le basi per "un processo di acculturazione connotato dalla reciprocità" fra indiani e francescani, così lontano da quello che in realtà dilagò con Bartolomeo de Las Casas. Certo lo scopo dichiarato di Bernardino era di comporre un trattato (di cui ci sono pervenuti soltanto quattordici capitoli del primo libro, forse l'unico realmente scritto) di dialoghi e sermoni, a glorificazione della conversione e come primo catechismo per i nuovi battezzati. Eppure la sua eccezionalità noi non la vediamo tanto nell'ambito religioso quanto in quello etnografico, come testimonianza della viva voce dei sacerdoti aztechi e del lavoro di cronachista avviato da Sahagun, che ben ricorda nel "Prologo" come si fosse affrettato a far tradurre i "Colloqui" da "quattro vecchi messicani, molto competenti sia nella loro lingua sia nella conoscenza delle loro antichità".
Era dunque giusto che, in vista del 1992, un simile testo venisse messo a disposizione di un largo pubblico, insieme agli altri misconosciuti scritti sul Nuovo Mondo appena pubblicati da Sellerio, e accanto a una nuova collana di Giunti, "Americana", i cui primi titoli toccano proprio il problema del confronto e dell'integrazione fra due universi così differenti: Matteo Sanfilippo, "Europa e America. La colonizzazione anglo-francese"; Francesco Surdich, "Verso il nuovo mondo. La dimensione e la conoscenza delle scoperte".
Nel 1564 dodici francescani giunti dalla Spagna incontrano saggi e dignitari del popolo azteco appena assoggettato. Unica copia del manoscritto è emersa dagli archivi segreti vaticani nel 1920.
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