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Assolutamente lo consiglio! ti fa riflettere, è coinvolgente ma anche scorrevole. Senza che te ne accorgi ti mostra l'alba di una rivoluzione fatta di musica, psichedelia e liberazione sessuale da tante prospettive diverse, tutte racchiuse in una famiglia e in una piccola cerchia di persone... Le prime fratture fra una gioventù ribelle e tradizioni, fede, religione e valori del passato!
un bel libro da leggere e che a volte mi ha fatto pensare...davvero un bel libro consiglio di leggerlo
Recensioni
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recensione di Rognoni, F., L'Indice 1995, n. 6
Una parrocchia alla periferia di Londra. La famiglia del pastore: la bella moglie (d'una bellezza domestica, che non conturba), tre figli adolescenti, il tran-tran d'un'esistenza piccolo borghese, prodiga d'evangeliche benevolenze, quasi del tutto scevra di spirituaIità (le funzioni quotidiane, il Gruppo del caffè, le Giovani spose, "la Riunione annuale del Comitato parrocchiale, durante la quale mio padre... cercava di ottenere più fondi per le opere di carità e meno per la manutenzione della chiesa, perché la chiesa sembrava destinata a un degrado progressivo e inarrestabile a dispetto di tutti i soldi che venivano spesi, diceva; e per due o tre settimane tirava aria di guerra tra mio padre e i parrocchiani che volevano a ogni costo aggiustare il tetto della chiesa"). Poi, un anno fatidico - il Sessantotto -, l'arrivo di un nuovo curato, Donald Ronaldson, che sembra "un mago o un fotomodello", ha studiato a Oxford e sorride "come un giovanotto americano che ha appena intascato il suo primo milione di dollari": e davvero ha un sacco di soldi (è azionista della piantagione di un suo zio in Sudafrica) e potrebbe spassarsela, o cristianamente impalmare una delle tante belle ragazze che gli corrono dietro (o una bruttona, come la figlia del pastore, se proprio vuol fare penitenza...), e invece è posseduto da un sacro furore, non guarda gli altri se non come certissimi peccatori, parla le lingue incomprensibili dello Spirito Santo, e in breve tempo fa invasare quasi tutta la pacifica congregazione.
Quasi tutta: perché Adrian, ilfiglio zoppo, capellone e contestatore, continua a comprare dischi rock (quando gli altri ragazzi del Centro giovanile hanno bruciato in un gran rogo i loro), beve al pub, vede i film di Ken Russell e fa all'amore con la silenziosa, deliziosa Anne-Marie (e forse non solo con lei). Ma anche Ricky, il fratello minore (e narratore) tiene le distanze dallo Spirito Santo: o meglio, si lascerebbe anche invadere dalle "lingue di fuoco" - ma è come troppo "tiepido", la notte i suoi pensieri vanno ai seni acerbi delle compagne di scuola, e le uniche parole incomprensibili che gli vengono alle labbra, "Ravishn… homorra homorra!", è meglio non dirle un chiesa perché potrebbero benissimo essere diaboliche.
Così, a poco a poco, mentre il pastore infervorato. vorrebbe scrivere un trattato sull'"offensiva globale" di Satana e l'"escalation della guerra spirituale" ("prende[va] in prestito le parole che la televisione usava ogni giorno per parlare del Vietnam"), e sua moglie, finora dedita al più umile compito di "dare consigli", adesso parla di "liberare" le anime, e persino "di scacciare i demoniche le tormentavano", Adrian il ribelle, con quel suo piede deforme e il pizzo caprino, la musica, la marijuana, la disponibile Anne-Marie, diviene il nemico dichiarato del bel Ronaldson e, infine, durante il ritiro pasquale di tutta la comunità cristiana, l'Antagonista, l'indemoniato. La commedia familiare si fa sempre più serrata, s'oscura, diventa dramma: piove a dirotto e la tragedia è inevitabile... una morte che forse è la più naturale - ma assolutamente non quella che ci si aspetta, e come ce la si aspetta, nel crescendo di quasi insostenibile tensione delle ultime pagine, con quei cocci rotti sparpagliati per terra, che una mano diversa da quella di Tim Parks (quella di qualche scrittore americano del Sud, magari di una Flannery O'Connor) avrebbe raccolto per chissà quali ferite...
Opera prima di un giovane autore inglese (n. 1954) che vive in Italia e al suo attivo ha già una mezza dozzina di libri (nessun altro ancora tradotto), "Lingue di fuoco" è uno splendido romanzo, necessario come una rivisitazione autobiografica, ma perfettamente riinventato, ben congegnato; scritto con quello stile inappariscente, understated, che può giocare sulle minime variazioni tonali, e con infallibile decoro nella scelta delle immagini. Per un romanzo così breve e compatto, è straordinaria la quantità di personaggi che vengono sbalzati: non solo i due fratelli e il fanatico Ronaldson, ma anche i genitori, la sorella Anna (acida e bigotta per eccesso di brufoli), la sgradevolissima Maggie, la predicatrice Joy Kandinsky, perfino i due timidi, sgraziati flirt di Ricky - nessuno è secondario, nessuno è (per dirla con James) una semplice 'ficelle'. Né questo gusto per la caratterizzazione va a discapito della pervasiva coralità: la quale, se da un lato rende la vicenda emblematica del Sessantotto in cui si svolge (e ci riesce senza alcuna pesantezza allegorizzante), dall'altro ne fa soprattutto un'accorata 'mise en scène' delle oppressive, ineludibili cerimonie dell'adolescenza ("Avevamo i nervi a fior di pelle. Eravamo tutti innamorati, o per lo meno avevamo una cotta per qualcuno, e tutto quello che riguardava il sesso ci metteva in agitazione, come pure ci metteva in' agitazione l'idea di Dio... Ognuno aveva paura di essere lasciato in disparte... e tutti ci sentivamo colpevoli... Non si faceva altro che girare e girare e parlare e osservarci a vicenda").
S'è detto "rivisitazione autobiografica", e forse più giusto sarebbe parlare di riconciliazione (sempre all'interno dell'invenzione narrativa, s'intende): col padre, innanzitutto, con profonda dolcezza; e poi con il fratello maggiore - questa una riconciliazione più complessa e laboriosa, che conserva la rabbia, l'aggressività degli affetti. E qui, nel difficile rapporto tra i fratelli, il romanzo diviene la sua tecnica: quella collaudatissima - probabilmente la più diffusa nella tradizione novecentesca (Conrad, "Le grand Meaulnes", "Il grande Gatsby", ecc.) - del narratore amico-rivale del protagonista, che sta a guardare, aspetta, intanto che l'eroe fa e disfa, e si rovina con le proprie mani. Ricky è un perfetto voyeur: sbircia da un buco la sorella che fa il bagno (con poca soddisfazione, perché Anna è piatta) e addirittura ha sistemato un microfono dietro il calorifero della stanza di Adrian, per sentirlo quando è a letto con Anne-Marie... insomma, non è detto che non sia proprio Ricky il diavolo - il quale, come noto (nel "Paradiso perduto" Milton lo dice quasi esplicitamente) spiava gli edenici amori di Adamo ed Eva, bruciando dalla voglia! O forse ogni scrittore è diabolico, ma non può scaldarsi, condannato ad assistere alla vita, fuori dalla finestra, fradicio di pioggia, a spiare senza poter decidere, senza fare. È un'allegoria un po' troppo facile, me ne rendo conto: ma guardate con che maestria Tim Parks sembra giocarci nel suo gran finale: beati i tiepidi! basta che accendano un semplice fiammifero, e coloro che ardono continueranno a bruciare... ma anche loro saranno salvati!
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