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Jonas Khemiri è uno scrittore europeo: la contemporaneità dello sguardo, la capacità di raccontare le relazioni delle famiglie moderne, i sentimenti di chi vive sotto i cieli del «vecchio continente», le paure e le inquietudini di una società multietnica e in trasformazione, fanno di Khemiri una delle voci piú importanti da ascoltare per capire chi siamo.
«Un romanzo tenero e scintillante allo stesso tempo. Un'iniezione di vitamine per noi lettori» - M-magasin
«Non ricordo l'ultima volta che ho letto una descrizione cosí vera di cosa vuol dire essere genitori oggi» - Vårt Land
«Khemiri è il grande innovatore della letteratura svedese. La sua capacità di infondere energia e vigore alla scrittura è semplicemente unica» - Jönköpings-Posten
Un «figlio che è anche un padre» prende un congedo di paternità e resta a casa a occuparsi dei figli mentre la moglie va a lavorare. Quando il «padre che è anche un nonno», due volte all'anno, ritorna a Stoccolma, pretende che il figlio si occupi anche di lui. In mezzo ci sono loro, le donne - sorelle, madri, figlie - che provano a tenere insieme un mondo che sembra sempre piú intenzionato ad andare in pezzi. Raccontando la storia di una famiglia totalmente nevrotica e (quindi) perfettamente normale, Jonas Khemiri scrive il suo romanzo piú imprevedibile, divertente, doloroso e vero. Come ogni anno, un «padre che è anche un nonno» torna in Svezia a curare i suoi interessi e visitare la famiglia che ha abbandonato. Il padre ha cultura e tradizioni che si scontrano con la «svedesità» dei figli. E il suo atteggiamento borioso non facilita di certo i rapporti. Un tacito accordo vincola il figlio a occuparsi di lui a ogni penoso ritorno. Ora che a sua volta ha dei figli, un lavoro che odia e una vita da cui vuole fuggire, vedersi riflesso nel padre è l'ultima delle cose che vorrebbe fare. Anche sua sorella è già madre e incinta di un altro bambino che non è sicura di voler tenere: la sorte del feto sarà affidata a una singola connessione telefonica. Ma dieci giorni possono influenzare in modo inatteso le dinamiche di una famiglia tormentata dai fantasmi del passato e dai non detti del presente. Se per questi buffi personaggi, che potrebbero essere scappati dal set di un film di Wes Anderson, esiste una possibilità di riscatto, può venire solo dall'innocenza e dalla freschezza delle nuove generazioni.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Dopo aver letto alcune recensioni positive ho letto il libro più famoso di khemiri. Che dire? A fine libro ti rendi conto di aver buttato via alcune ore che potevi usare per un altro libro. La storia non decolla mai, la scrittura a volte risulta fastidiosa, come se fosse un biglietto della spesa.. Mah.. Nulla di più da aggiungere
Piaciuto
Famiglie disfunzionali, personaggi che si perdono, personaggi persi da sempre, la soluzione che arriva dai più piccoli:un romanzo imperdibile sull'essere padre, sulla famiglia, sulla frenetica vita contemporanea.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La clausola del padre è l’ultimo romanzo di Jonas Hassen Khemiri, giovane scrittore e drammaturgo tunisino-svedese già parecchio noto in patria e affermatosi, tra l’altro, nel panorama letterario italiano grazie all’inclusione del suo Tutto quello che non ricordo (Iperborea) nella cinquina finalista del Premio Strega Europeo 2017. Alla quinta prova come romanziere, Khemiri sceglie di realizzare un testo corale, una saga familiare, riprendendo e arricchendo di sfaccettature e declinazioni temi che ha già dimostrato di avere a cuore in opere precedenti.
Nel romanzo viene messo sistematicamente in atto un gioco di appellativi che ha il pregio di ricordarci che un padre non è mai solo un padre, ma anche un figlio. O che un figlio non è solo un figlio ma anche un fratello. O che un figlio non è solo un figlio e un fratello ma anche un nipote. In questa girandola di relazioni familiari i nomi di persona vengono lasciati da parte, quasi ad invogliare il lettore a concentrarsi sui legami più che sugli individui, a cercare l’universalità nella storia particolare. Ed è un gioco che funziona, nonostante l’ambientazione delle vicende narrate, grazie a un equilibrio di espedienti diversi.
I protagonisti della narrazione, infatti, vivono in una Stoccolma dei nostri tempi, capitale di uno degli Stati più femministi d’Europa e del mondo. Uno Stato in cui uomini e donne si spartiscono equamente i compiti fuori e dentro casa, e dove i primi diventano oggetto di un vero stigma sociale se non prendono il congedo di paternità per stare a casa coi figli, permettendo alle compagne di tornare a lavoro dopo il parto. Una società, pertanto, parecchio diversa da quella a cui siamo abituati; una società in cui alle donne non si richiede di scegliere se sacrificare figli o carriera. Non a caso le protagoniste del romanzo sono donne forti, indipendenti, lavoratrici, agguerrite e anche madri.
Eppure, nonostante queste importanti differenze sociali, Khemiri riesce a mostrare come la sostanza non cambi: non importa quale genitore si occupi dei pannolini e quale di portare i soldi a casa, ogni famiglia è un microsistema caotico e nevrotico ben lontano da qualsiasi ideale di ordine e perfezione, e il primo passo per sopravvivere è accettare che non si possa mantenere il controllo su tutto. Così La clausola del padre ci trascina in una mischia di reticenze, incomprensioni, affetto dimostrato in modo goffo o non dimostrato affatto, tendenze maniacali, disturbi ossessivi, ansie irrazionali, pavimenti sporchi di pappe per infanti e ore di sonno decisamente insufficienti.
La macchina narrativa viene messa in moto dal ritorno semestrale di “un papà che è anche un nonno” a Stoccolma. Lui e “un figlio che è anche un papà” hanno un accordo: il primo potrà alloggiare nell’ufficio del secondo ogniqualvolta ne avrà bisogno. Questa volta, però, è diversa. Il figlio che è anche un papà è in congedo parentale per il suo secondo figlio, e sente il bisogno di togliersi alcuni sassolini dalla scarpa, mentre la sorella che è anche una madre tenta di mediare e al contempo di prendere alcune importanti decisioni sulla sua vita.
Lo stile di Khemiri è fresco, energico, con frequenti inflessioni pop, caratterizzato da discorsi diretti che s’incuneano senza soluzione di continuità nel narrato e da lunghi elenchi che hanno la specifica funzione di rendere adeguatamente tramite l’accumulazione un certo stato d’animo o di comunicare con efficacia la confusa frenesia della quotidianità.
L’autore mostra bene gli attriti generazionali esistenti nella famiglia, l’incapacità di comprendere appieno il punto di vista dell’altro eppure l’inspiegata disponibilità a farglisi incontro, gli affetti incondizionati anche laddove feriti. E nel passaggio continuo da un punto di vista all’altro, nell’alternanza dei piani temporali, emergono alcune costanti universali; come l’esistenza di alcuni legami destinati a restare al di là di tutto, o l’impossibilità di apprendere in alcun modo il mestiere di adulto, tantomeno quello di genitore. Non si fa che procedere per tentativi, dimenticandosi a volte di essere persone prima che madre, padre o qualsiasi altra etichetta possa venire in mente.
“La bambina si svegliò. Aprí gli occhi grigio-azzurri e li guardò con quell’espressione a metà tra il campione di kung fu e il gattino cieco appena nato. Non ti rovineremo mai come hanno fatto i nostri genitori con noi, disse lui solleticandole il pancino vicino al moncone di cordone ombelicale. Ti rovineremo in modo completamente diverso, concluse lei carezzandole la testolina rugosa.” (p. 213)
di Alessia Angelini
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