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recensione di Pace, E., L'Indice 1989, n. 9
Jane Schneider, antropologo, e Peter Schneider, sociologo, hanno condotto negli anni sessanta una ricerca nella Sicilia occidentale, dalla quale è nato il lavoro pubblicato negli Stati Uniti nel 1976 col titolo "Culture and Political Economy in Western Sicily". Il testo è proposto quest'anno in Italia, in un'edizione pressoché identica (solo una parte del VI capitolo è stata parzialmente sostituita), dall'editore Rubbettino.
Il luogo-laboratorio da cui prende avvio una ricerca ad ampio spettro è un modesto paese dell'agrigentino, situato nell'interno latifondista, che nel saggio, per la consuetudine invalsa tra gli studiosi di usare pseudonimi in luogo di riferimenti reali, viene indicato con il nome di Villamaura. Gli autori effettuano uno studio di taglio "globale" ed interdisciplinare che parte dalla dominazione spagnola del XVI secolo con la sua struttura diarchica di potere, scarsamente organizzata e manovrabile, e arriva fino al secondo dopoguerra, adoperando come strumenti di indagine le correlazioni di dipendenza-autonomia, aree centrali-aree periferiche. I codici culturali, ad esempio, vengono descritti come "influenzati dalle forze messe in moto nel passato dall'espansione delle aree centrali", "alla luce della continuità del ruolo della Sicilia nella divisione mondiale del lavoro". La Sicilia esportava cereali nel suo periodo coloniale - dall'inizio di questo secolo esporta forza lavoro - e importava beni manufatti, come implicava la specializzazione produttiva e mercantile e l'interdipendenza del sistema-mondo. Le sue classi dirigenti si sarebbero collocate in una posizione di forte dipendenza e, in questa dimensione, avrebbero ricoperto un ruolo che anticipava e ritardava al contempo le nuove situazioni economiche.
È il crinale da cui ha tratto forma quello che gli Schneider definiscono il capitalismo di mediazione e che funziona come schema di lettura dei compiti di interposizione delle élites siciliane. La mafia, appunto, nella Sicilia dell'Ottocento, "ebbe origine come risposta ideologica e organizzata " alle nuove condizioni di potere che lo sviluppo industriale determinava, il quale, nello stesso tempo, favoriva e minacciava gli imprenditori rurali. Gli impulsi che essenzialmente stabilirono l'espansione del dominio della mafia furono le minacce alla proprietà latifondistica e la penetrazione delle istituzioni del nuovo stato unitario nell'isola. Gli imprenditori rurali, che controllavano la produzione e la circolazione dei beni d'esportazione, "formarono la spina dorsale di una nuova classe, la classe civile, che seppe ben confrontarsi con gli interessi del Nord". Settarismo e corruzione furono "l'indice del potere di contrattazione dei 'civili'", che puntarono ad avere un'organizzazione statale debole e ad evitare la gerarchizzazione dei mercati. Il meccanismo del patronaggio, in ultimo, che consistette nell"'uso combinato del clientelismo e del potere di polizia per 'fare le elezioni"', assegnava alla politica un carattere non ideologico e praticava una contrapposizione di gruppi sulla base del "fazionarismo".
Nella parte conclusiva, il libro si occupa della "modernizzazione senza sviluppo" che ha caratterizzato la Sicilia del nostro dopoguerra, e che non ha generato una corrispondente trasformazione dei rapporti sociali.
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