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La pazzesca tagliola che dilania i pensieri, l'ambivalenza terribile che spalanca due leggi uguali e contrarie: se si parla si sbaglia, se ti tace si sbaglia. Come uscirne? Dilemma niente affatto semplice. Che certezza abbiamo che ogni sillaba arrivi all'altro nella perfetta scansione sensibile con cui la decliniamo? Quanto è alto il timore che non si capisca appieno ogni parola spesa? In questa difficile foschia, una specie di paralisi interiore, vive il protagonista del romanzo, che a tal punto non sa districarsi in questa nodosa matassa che finisce per obbedire solo alle leggi primarie, parlando e muovendosi sotto il cono dei doveri più spiccioli; dunque il lavoro rispettato nei suoi bravi perimetri, la famiglia ossequiata per quel che serve, e ogni cosa che lo stringe e lo incontra obbedita nell'ovvio, nella sua vuota meccanica, fino alla fine. Perchè accade questo? Perchè una nevrosi senza ritorno lo avvinghia, una fragilità che non può fronteggiare se non soffrendola in un silenzio tremendo. Se scopre qualcosa di brutto ha paura di esserne travolto, e allora ne macina ogni grano dentro, stando peggio: Se invece mezzo spiraglio lieto si affaccia, salgono ondate di sospetto. Un destino di cui non può che convincersi in mezzo all'umanità in cui egli si aggira: "Non sono più colpevole di altri, ma sono stato scelto per riconoscere la mia colpa". Che cos'è l'ordine? Una calma distesa di giorni tutto sommato inodori nei quali adagiarsi senza i cattivi suoni dell'imprevisto o la possibilità di dare carne e spirito a una pedagogia (egli insegna) che può dare bellezza e ricordo? Finirà per travolgerlo tutta una serie di eventi, circostanze e situazioni dove davvero non sarà agevole trovare un filo, e a quel punto occorrerà scegliere. La legge del male minore? Asciugare al minimo ogni mossa, senza forzare o offrire più di quanto serva? Ennesima paranoia in un alone di minaccia mai lontano. Un immobilismo dell'anima, rassicurante quanto figlio della tragedia.
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