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Conosco giornalisti che sono rimasti solo una settimana in Afghanistan oppure in Libia ma non hanno esitato a scriverci su un libro, per pavoneggiarsi un po'. Per fortuna, però, ci sono anche giornalisti che si dedicano anima e corpo ad un Paese, visitandoli a più riprese, eppure non si sognano nemmeno di spacciarsi per esperti e, quando devono esprimere qualche valutazione, volano basso, con grande umiltà. Quella che segue è la prefazione che ho scritto per un bel libro di Antonella Appiano, che ha passato quattro mesi "sotto copertura" nella Siria di oggi, fra proteste di piazza e repressione. E' edito da Castelvecchi, si intitola "Clandestina a Damasco" e vale la pena di leggerlo per capire quanto sia difficile fare oggi questo mestiere, soprattutto all'estero, fra propaganda e disinformazione, senza perdere la passione. "Quando Egisto Corradi disse che il vero giornalismo si fa consumando la suola delle scarpe non esistevano i telefoni cellulari e la tecnologia digitale, né tanto meno il web 2.0. L'unica connessione a disposizione dell'opinione pubblica erano gli inviati speciali. E i loro resoconti erano tanto più preziosi in quanto rappresentavano l'unico modo per essere informati, anche sugli avvenimenti lontani. Oggi invece non è più così. C'è semmai l'imbarazzo della scelta. Le notizie si sono moltiplicate a dismisura e viaggiano in tempo reale, veicolate non sempre e non solo dai giornalisti. Eppure, anche in quest'era di infobesità, e anche se il mestiere del giornalista sta cambiando a velocità vertiginosa, avere delle buone scarpe e riuscire a consumarle fa ancora la differenza. Me lo dice l'esperienza. E lo dimostra anche questo libro di Antonella Appiano, che di un avvenimento complesso come la crisi siriana di oggi ci offre un resoconto straordinario, puntuale ed emozionante. Da inviata vera. Di Amedeo Ricucci dal Blog Ferri Vecchi
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