Un piccolo capolavoro ritrovato, una storia drammaticamente profetica, un romanzo pervaso dal miglior umorismo ebraico “«Hugo Bettauer aveva il dono di scrivere ciò che sentivano in molti. È caduto per il più sublime compito della sua professione: dire ciò che si considera giusto.» Robert Musil «Chiediamo che gli ebrei, nella misura in cui non possano essere espulsi e non se ne vadano volontariamente, siano immediatamente internati in campi di concentramento.» Leopold Kunschak, esponente del Partito cristianosociale austriaco, discorso all’Assemblea costituente, 29 aprile 1920 Vienna, primi anni Venti del Novecento. In un clima di esasperata intolleranza antisemita, il Parlamento approva all’unanimità una legge per bandire gli ebrei: “A tarda sera i deputati videro una città illuminata a festa” racconta una delle prime scene di questo romanzo drammaticamente profetico. Dopo la cacciata, le banche, le industrie, le boutique, i locali notturni, i caffè entrano in crisi e le ragazze viennesi rimpiangono gli audaci e raffinati corteggiatori ebrei. Ormai la moda propone ridicole acconciature alpine, scarponi chiodati, tristi loden, e la letteratura approda allo strapaese montanaro. La città tocca il fondo della grettezza e dello squallore. Pubblicato nel 1922 e subito diventato uno straordinario successo editoriale, La città senza ebrei è un libro attualissimo, scritto diversi anni prima dell’Olocausto. Un romanzo che ancora oggi ha molto da dirci, per la forza di una storia che voleva essere paradossale e risulterà invece premonitrice. Bettauer, poliedrica figura di intellettuale contro, irriverente, arguto, letto e amato dai più grandi della letteratura dell’epoca, in seguito alla pubblicazione del libro sarà travolto da un’onda feroce di odio. Morirà pochi anni dopo, nella redazione della rivista da lui fondata, ucciso da un giovane nazista. )
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