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Bello
Sî, è vero, ci sono troppi poeti in giro, tutti hanno nel cassetto un manoscritto e riescono magari a farlo pubblicare. Difficile capire quando la poesia soffia davvero, tutti ormai sanno scrivere in poetichese, maneggiano le metafore e le immagini. Ma poi, d'un botto, ecco un poeta vero che salta fuori, giovane fino a un certo punto (perché ha saputo aspettare) ma con una sua voce e una sua esigenza di DIRE. E lo si segue per le vie di Milano, per gli scabri dolori del corpo di un padre morente. Una cosa pazzesca, finalmente, qualcosa che scuote e pacifica nello stesso tempo. Da leggere assolutamente!
Recensioni
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Ha il passo di una vena vischiosa e tachicardica il primo libro di Stefano Raimondi – già poeta di Una lettura d'anni nel Settimo quaderno di poesia italiana contemporanea. L'intimità dell'orto ("Si poteva stare per ore / con i desideri freschi nelle ossa") si unisce alla visione prismatica della città ("Milano malabolgia è fatta a cerchio") il dramma del padre ("Ancora sei fatto / di un solo attimo tremendo") si riverbera sulla passione del figlio ("Padre / che inventi che m'inventi"). Si tratta di un lungo poemetto diviso in tre parti una dolente invocazione al genitore che muore: un tu per tu che diventa epicedio funebre per l'uno e ritualistico bilancio e resa dei conti per l'altro. Anche se alla fine non si capisce veramente chi muore se il padre o il figlio (e viceversa chi vive): "come ciechi tastiamo le cose" "Non abbiamo più doni da spartirci". È questa duplicità e intercambiabilità delle parti a costituire l'alfabeto emotivo del libro. Il plurale declina i sentimenti all'interno di una precisa trama di simboli spesso di carattere naturale: la pietra l'acqua la luce il fiato il gelo il sale. In questa costruzione cognitiva parte rilevante ha avuto la letteratura biblica citata più volte sia esplicitamente che tacitamente. Una dizione quella biblica che dà asciuttezza e mordente allo stile di Raimondi. Per questo sono molto rare le sbavature ravvisabili talora in un residuo di recitativo neo-orfico: resta nel complesso l'impressione di un libro riuscito e quadrato che fonde in modo omogeneo e sincronico una voce decisa temprata al realismo (una volta si sarebbe detto da linea lombarda) e una rapinosità analogica di marca celaniana (tentata da noi da Antonella Anedda e Roberto Carifi ad esempio). La novità dell'opera consiste proprio in questo inedito incrocio di percezioni emblematicamente raffigurate nella città e nel suo apparente opposto l'orto.
Flavio Santi
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