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In che senso ed entro quali limiti, si domanda Belligni, la scienza politica può dirsi "scientifica"? Rifacendosi alle teorie epistemologiche di Kuhn, Lakatos e Musgrave, per individuare in ambito politico fasi di "scienza normale", caratterizzate da un "paradigma" dominante e da determinati "programmi di ricerca", e fasi di "rivoluzioni scientifiche" in seguito alle quali si impongono nuovi paradigmi e nuovi programmi, l'autore considera prevalente fino all'Ottocento il paradigma "statalista", fondato sulla sostanziale equivalenza tra la sfera della politica e la sfera dello stato. Oggi, invece, a suo avviso, convivono e si confrontano differenti programmi di ricerca, che per molti versi "alimentano una condizione di instabilità, di frammentazione e di incertezza disciplinare". È necessario pertanto prendere atto della struttura "multiparadigmatica" della scienza politica, tipica peraltro di tutte le procedure storico-sociali di ricerca. Oltre al paradigma statalista, secondo Belligni, altri quattro si sono confrontati e avvicendati nel corso dell'ultimo secolo: quello imperniato sul concetto di potere (che da Machiavelli giunge a Weber, Mosca, Foucault e Mills), quello sistemico (basato su principi come l'interdipendenza e l'autoregolazione), quello della politica come gioco e come mercato (il cui presupposto è la spiegazione dell'azione razionale sulla base del metodo della scelta economica) e quello della politica come conflitto (Marx, Schmitt). Si potrebbe semplificare tale quadro, conclude Belligni, riducendo le cinque idee di politica a due paradigmi: la politica come gioco cooperativo-competitivo e la politica come guerra e antagonismo, due punti di vista in parte complementari e in parte concorrenti. Nel mondo post-bipolare, che pareva inizialmente rispondere di più al primo, è riemersa altresì la rilevanza del secondo.
Giovanni Borgognone
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