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Anno edizione: 2014
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François Jullien individua nell'eccesso di spirito critico della cultura europea e nel suo razionalismo spinto all'estremo la minaccia che sta distruggendo l'arte e il pensiero giudaico-cristiano di formazione classico-borghese. Propone quindi che la nostra intelligenza teorica si decostruisca, aprendosi con più umiltà a ciò che ha rimosso per quasi tremila anni: all'impensato, all'ombra, a ipotesi culturali che arrivino da altre civiltà, trascurate se non addirittura svalutate. Anche la psicanalisi, e più in particolare l'elaborazione freudiana, si è inserita nella tradizione culturale occidentale, applicando presuntuosamente a livello universale interpretazioni che probabilmente riguardano solo il soggetto culturale europeo, non riuscendo ad adeguare alla pratica clinica di scandaglio analitico un' altrettanto penetrante riflessione teorica. Per questo Jullien suggerisce che alcuni concetti propri della filosofia cinese possano soccorrere alle lacune della cultura occidentale, in primo luogo sanando la scissione di origine platonica tra soma e psyche, corpo e anima. Il pensiero cinese usa metodi di avvicinamento all'esistenza più allusivi e sfumati, meno frontalmente aggressivi di quelli occidentali: ad essi la psicanalisi dovrebbe prestare attenzione, soprattutto per ciò che riguarda la relazione tra analista e paziente nel corso della seduta. Si tratta di cinque concetti: disponibilità, allusività, sbieco, obliquo e influenza. Tecniche che privilegiano l'evoluzione e la trasformazione lenta, silenziosa; non l'identificazione ma l'interazione; non l'irrigidirsi ma il rimanere aperti ad ogni possibilità; non l'usare linguaggi impositivi bensì alludere, aggirando l'ostacolo senza affrontarlo direttamente. Il contadino non costringe il grano a crescere tirando i germogli: lo aiuta innaffiandolo, smuovendo la terra intorno.
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