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recensione di Genta, L., L'Indice 1996, n. 2
"Dove sono andati i tempi d'una volta, per Giunone,/ quando per fare il mestiere ci voleva anche un po' di vocazione". Meglio canticchiare De André, prenderla con ironia: altrimenti si rischia presto di cadere nella nostalgia (passibile di moralismo) navigando attraverso i "Cinquant'anni e più"... di lettere tra Bompiani e Zavattini, curate con grande competenza e non meno affetto da Valentina Fortichiari (alla perfezione del volume manca solo l'indice dei nomi).
Lungo mezzo secolo di cultura italiana (poca storia, pochissima politica), tra il 1933 e il 1989, abbiamo di fronte non solo un editore e un suo autore, ma due amici-fratelli, diversi per formazione e carattere, eppure accomunati da eguale impegno intellettuale, rigore etico, coscienza civile. La loro fu davvero una "corrispondenza". Zavattini resta sinonimo di "instancabile, travolgente, impaziente, insonne, viscerale, smisurato, strabocchevole". Bompiani è modello di tenacia e discrezione, a tratti persino catechetica, con la sua capacità di frenare e scegliere, indirizzare e sintetizzare. L'uno, onirico rivoluzionario nazional-popolare, ha il fervore dell'eterno adolescente, "straripante" come il suo Po. L'altro dialoga (non a caso è scrittore di teatro), con pratica attenzione, flemma aristocratica, religiosa quiete interiore: sa capirne i progetti ("Sono ormai dentro il tuo cervello e il tuo animo e le tue 'farneticazioni'"), ne evita l'eccesso, lo spreco, la dispersione ("Io so che le idee a te vengono come i fiori nei campi a primavera. Non fai in tempo a occuparti di una cosa, che ne hai altre dieci tra le mani").
Così il carteggio, oltre a riattraversare le ben note imprese di entrambi - lo Zavattini già multimediale sperimentatore, tra cinema, riviste, libri, radio, cinegiornali; il Bompiani moderno organizzatore di talenti e opere (basti ricordare il "Dizionario") - è insieme un baule di progetti in fieri, irrealizzati quanto attuali (come potrebbero essere oggi, in cerca di identità nazionale, "Il libro di lettura dell'italiano", "Le cento parole che fanno il mondo", "Italia domanda"). Su tutto, domina questa fedeltà al fare, al lavoro "per il meglio", alla responsabilità intellettuale: "abbiamo speso la vita sulle parole, chi le scrive e chi le fa leggere".
Certo personalità eccezionali, l'editore di "Americana", lo scrittore di "I poveri sono matti". Ma non unici, n‚ soli. Chi fossero gli altri intellettuali editori, da Pavese e Vittorini, da Bazlen e Debenedetti fino a Sereni e Calvino, lo stanno documentando le ricerche di Spinazzola, Ferretti, Cadioli, ce lo va raccontando Oreste del Buono nei suoi "Amici & Maestri" su "Tuttolibri", in attesa che uno storico riesca a formare il mosaico dell'editoria del Novecento. Per ora si vede solo che di quella "razza", nell'industria editoriale d'oggi, tra marketing e finanza, sembra proprio si sia perso lo stampo. E la vocazione.
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