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In futuro potremo rigenerare i neuroni e riparare i circuiti nervosi danneggiati da malattie degenerative come il Parkinson o l'Alzheimer? La ricerca sulle cellule staminali porterà a nuove forme di terapia? Quasi ogni giorno leggiamo sui giornali dei continui progressi in questo settore, sappiamo che è possibile, sia pure attraverso numerose difficoltà, isolare cellule staminali nervose o convertire alcune cellule somatiche in cellule staminali: ma sarà possibile tradurre queste conoscenze in interventi pratici, rigenerare appunto circuiti nervosi? Luca Bonfanti, che da anni studia i meccanismi di plasticità cerebrale e ha una più che solida esperienza nel campo delle cellule staminali, ha scritto un saggio che fa chiarezza in un campo non facile, spesso distorto dai media.
Ma iniziamo dal titolo: perché Bonfanti parla di cellule "invisibili"? Il fatto è che le staminali si comportano in modo diverso a seconda del contesto e del momento funzionale in cui si esplica la loro azione: più che un oggetto con particolari caratteristiche fisiche, le cellule staminali, nota l'autore, rappresentano uno stato funzionale, possono cioè appalesarsi e intraprendere la loro azione in particolari condizioni, prime tra tutte quelle che riguardano la fase embrionale, quando le cellule che formano il nuovo organismo sono ancora totipotenti, possono cioè dare vita alle linee cellulari che costituiranno i vari tessuti di cui è formato il nostro corpo, tessuto nervoso compreso. Un possibile identikit di queste cellule implica quindi che una cellula staminale sia tale se è indifferenziata, in grado di proliferare estesamente, auto-mantenersi, vale a dire rigenerarsi, e poi se è multipotente, se cioè può rigenerare cellule di tessuti diversi e, punto critico dal punto di vista delle implicazioni terapeutiche, rigenerare un tessuto danneggiato.
Questo dunque l'identikit delle "cellule invisibili": un identikit che punta, come in ogni romanzo poliziesco, a restringere il cerchio intorno a queste cellule "evanescenti" grazie all'aiuto di marcatori: tracce, o meglio molecole, che rivelano l'identità delle staminali in un particolare momento funzionale rendendole visibili, ad esempio in quanto divengono fluorescenti nel campo del microscopio. Stringere il cerchio, scovare il colpevole, identificarlo
tutti termini che accomunano l'opera del biologo a quella di un investigatore. A questa metafora se ne aggiunge però un'altra di tipo fantascientifico: le cellule sono dei replicanti, si comportano come alcuni personaggi di Blade Runner o come Terminator, personaggi che è spesso difficile distinguere dagli umani. Bonfanti si rivela un vero appassionato di spy stories, di fantascienza, di pulp fiction e le citazioni da questi generi sono, insieme alle staminali, ovviamente, uno dei motivi dominanti del saggio: citazioni che incuriosiscono il lettore, rimandano a letture o film classici, suscitano curiosità ma anche sottendono analogie.
Da studioso della mente, il metodo, o se preferite il tipo di scrittura praticato da Bonfanti, mi ha prima incuriosito e poi affascinato: si tratta di un semplice stratagemma divulgativo per fare in modo che il lettore inesperto di staminali possa aggirarsi più facilmente in un complesso settore? Ovviamente questa è una risposta possibile ma non la sola. Le analogie, infatti, sono al centro del nostro pensiero e, insieme alle strategie della logica, quelle di tipo analogico consentono di compiere dei veri e propri salti cognitivi: gli psicologi hanno notato come non solo il bambino può abbracciare una realtà nuova servendosi di analogie che partono da realtà note, ma anche come la stessa prassi degli scienziati si basa su un pensiero analogico che consente di gettare un ponte, vero o falso che sia, in direzione di una realtà sconosciuta. Ad esempio, il biologo Thomas Morgan elaborò mentalmente il concetto di un "filo di perle" per spiegare la struttura dei cromosomi, formati da un insieme di "perle", i geni. Questo processo di costruzione è parte essenziale della storia delle idee scientifiche: gli esempi più noti si riferiscono all'analogia tra le onde sonore e le onde dell'acqua o l'analogia tracciata da Maxwell in rapporto alle caratteristiche dell'elettromagnetismo e dei fluidi. Ma è anche ben nota l'analogia utilizzata da Galileo Galilei la Terra come una nave per rispondere a quanti si opponevano all'idea che la Terra fosse immobile: i suoi oppositori notavano che un sasso lanciato dal sommo di una torre cadeva ai suoi piedi ed egli rispose dicendo che anche un sasso che venga fatto cadere dalla cima di un pennone di una nave in moto cade alla base dell'albero
Potrei continuare a lungo con gli esempi, ma vorrei sottolineare come il percorso di ricerca di Bonfanti e di tanti biologi passa attraverso un pensiero analogico che consente di scandagliare realtà ignote, o parzialmente note, nel caso specifico le "cellule invisibili". Ovviamente il ricercatore si basa su conoscenze e metodi consolidati, ma la sua mente attinge a un ricco immaginario su cui Bonfanti apre numerose e suggestive finestre.
Detto questo, il saggio in questione è estremamente chiaro e onesto nell'analisi della situazione attuale e delle prospettive terapeutiche, ad esempio, quando l'autore nota come "sebbene l'approccio dei trapianti cellulari sembri molto promettente, soltanto in una ristretta minoranza di casi è in grado di dare risultati positivi quando usato a scopo terapeutico. Soprattutto se parliamo di risultati ripetibili". Ovviamene Bonfanti spera in possibili applicazioni curative, ma spiega anche quali siano le complessità e la tortuosità del cammino da percorrere: un cammino lungo al di fuori dei sensazionalismi mediatici.
Alberto Oliverio
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