Nel cimitero di Meudon, uno scacco di verde nella banlieue ovest, a pochi metri dalla casa che fu tanto il luogo del rancore e dell'autoassoluzione quanto il villino terminale del dottor Louis-Ferdinand Destouches in arte Céline, la tomba dello scrittore, una lastra di pietra serena con inciso un veliero in omaggio agli avi bretoni, reca solamente la data di nascita di colei che fu sua moglie per un quarto di secolo, Lucette Almanzor in arte Lili, come sanno i lettori della Trilogia tedesca, l'odissea autobiografica, e oggi si direbbe la autofiction, di un uomo condannato a morte per collaborazionismo che prima si unisce alla cricca di Pétain a Sigmaringen, nella Germania meridionale, poi fugge in Danimarca dove viene arrestato, incarcerato e infine, nel 1951, liberato per l'amnistia che prelude al suo esilio a Meudon. Ormai centenaria, Lili è ancora viva, a riprova di una fibra leggendaria, quella di una donna che fu capace di convivere con un uomo impossibile, amandolo, nonché di sopravvivere per oltre mezzo secolo al peso della sua memoria esorbitante. Nell'universo céliniano della pésanteur, Lili rappresenta sia la leggerezza di una grazia diafana sia la tenace fedeltà al ricordo di una vita precedente, troncata il 1° luglio 1961 dalla morte del marito. È questa la materia di un singolare volumetto a cura di Véronique Robert, Céline segreto, uscito in Francia da Grasset & Fasquelle undici anni fa: non si tratta di una biografia scritta dalla parte di lei né, tanto meno, di un memoriale sistematico ma piuttosto di flash, di una raccolta di istantanee talvolta preziose per le zone d'ombra che si trovano a violare, specie quelle relative al carattere e alla tempra psicofisica dell'autore del Viaggio al termine della notte. Lili in sostanza non dice nulla di nuovo, anzi tende a recepire e assecondare il vittimismo autoassolutorio del marito, a relativizzare la colpa di Bagatelle per un massacro e degli altri libelli antisemiti, dunque a scamparne l'opera da qualsiasi contenzioso etico-politico, però lo fa con un candore ovvero con una tale leggerezza che le impedisce, per nostra fortuna, sia le astute rimozioni sia gli alibi del revisionismo. Che Céline e Lili stessero tra loro come, appunto, la pesantezza e la grazia ne fornisce una prova la scena iniziatica, ambientata al principio del 1936 nella scuola di ballo di Madame Alessandri, a Parigi: qui il già celebre romanziere, e cioè l'ultraquarantenne che sta per pubblicare Morte a credito, appostato alla maniera di un voyeur concupisce una ballerina di appena ventitré anni che sembra scesa da una tela del suo amatissimo Degas. Tutte le istantanee successive, che Véronique Robert recepisce nell'album, sono note ai lettori di Céline così come i passaggi di fase, per lo più violenti, che volta a volta le incorniciano: il ménage fra il medico-scrittore e la silfide dell'Opéra Comique che si svolge al numero 4 della rue Girardon, a Montmartre, di fianco al Moulin de la Galette e agli atelier degli amici più cari, il pittore Gen Paul e lo scrittore poligrafo Marcel Aymé (tra i pochi che mai gli voltarono le spalle); quindi, nel giugno del '44, con gli alleati alle porte di Parigi e la condanna a morte pronunciata da Radio Londra, la fuga in Germania e il viaggio inverosimile che li porta verso Nord (così si intitola il pannello centrale della Trilogia) in compagnia del gatto Bébert, trovatello dei grandi magazzini della Samaritaine, quasi una variante felina della stessa Lili, e dell'attore Robert Le Vigan, eroe del cinema del Fronte popolare vendutosi ai nazisti occupanti: qui la voce della testimone si incrina e persino si rompe mentre viene ricordando la cattura del marito, la sua detenzione in un carcere di Copenaghen e gli arresti domiciliari in una gelida capanna sul Baltico, dove la coppia rimane isolata per quasi cinque anni. Il decennio finale a Meudon, viceversa, è quello più vulgato in quanto Lili risulta preventivamente incorporata nel personaggio e alter egoal femminile della Trilogia medesima: nel villino-catapecchia dove sopravvive nel rancore una specie di Tersite delle lettere francesi e dove, tuttavia, si redime nella gloria d'essere "pleiadizzato" vivo lo scrittore che delle lettere francesi fu l'infamia in persona, proprio lì Lucette Almanzor comincia a congedarsi da lui e a divenirne la vestale postuma, l'unica possibile erede di un'opera che non ha eguali nel secolo per la combinazione incandescente di violenza e di musica. Tiene a dichiarare, prima di congedarsi a sua volta: "Abbiamo avuto continuamente paura della morte. Alcuni comunisti minacciavano di ucciderlo, dopo ci si sono messi degli ebrei. Abbiamo vissuto l'Esodo, la prigione, la Danimarca. È andata sempre peggio, e a Meudon ha cominciato a morire. Non tutti hanno avuto una vita così. Siamo stati braccati come topi. Senza la danza, sarei morta". E noi dobbiamo crederle, letteralmente, quando Lili confessa di non avere altro da dire. Massimo Raffaeli
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