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scheda di Rognoni, F., L'Indice 1995, n. 9
Il premio Nobel, si sa, non è garanzia di immortalità: molto più numerosi i grandi che non l'hanno ottenuto che i minori che ne sono stati fregiati. Le "saghe" sono spesso ottimi viatici. Roger Martin du Gard, per esempio, l'ha vinto nel 1937 per gli otto romanzi dei "Thibault", tradotti a suo tempo da Sbarbaro, ma ora spariti dalle nostre librerie: mentre di suo è spuntato di recente uno straordinario racconto, "Confessione africana" (Adelphi, 1992). Qualcosa di simile vale per questo "Cavaliere" (1901, con revisioni 1909) di John Galsworthy (1897-1933), premio Nobel del 1932, essenzialmente per la "Saga dei Forsyte". Di Galsworthy è stato detto tanto di quel male (vedi Lawrence, per esempio: "Quelle emozioni sono false, false, false!") che ci vuole un bel coraggio, e vero spirito cortese, per riproporlo, addirittura con testo a fronte. Così dobbiamo essere grati a Domenichelli per questo delizioso 'repˆchage' - una novella ineccepibile nei suoi limiti dichiarati - e per l'ampia contestualizzazione, testimonianza di un'amorevolezza non priva d'ironia. È come se il curatore volesse fare ammenda delle "scortesie" che causano la morte di Brune, il "suo" cavaliere, come se volesse lui sostituirsi a Jules, quel pessimo padrino, che per leggerezza e cinica faciloneria permette un duello suicida. E tuttavia per gente come Brune, che ha combattuto coi Mille di Garibaldi e a fianco dell'esercito confederato (per amore delle cause perse), e ora sopravvive in un'epoca che non riconosce i loro semplici, integerrimi valori, la morte non può che essere una liberazione, e morire con una pistola in mano quasi un'insperata soddisfazione. Del resto il codice cavalleresco è per definizione obsoleto, costantemente cancellato dalla Storia. Sotto questo aspetto il Brune di Galsworthy, così a disagio negli anni che preludono alla Grande Guerra, non è dissimile dal colonnello Chabert dell'omonimo romanzo breve di Balzac, sopravvissuto alla battaglia di Eylau e ormai letteralmente inambientabile nella Francia postnapoleonica.
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