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recensione di Gallino, N., L'Indice 1995, n. 4
Per il grande pubblico è l'autore dei soli "Carmina Burana". Ma anche gli addetti ai lavori stentano ancora a trovare a Carl Orff un posto fra i grandi. Vecchie ombre politiche e il soffocante veto ideologico delle avanguardie hanno fatto lo stesso gioco: il bavarese colto e simpatico, nato a Monaco nel 1895 e ivi spentosi nel 1982, si è così sempre visto occupare da colleghi più fortunati le stesse caselle nei totem linguistici del Novecento. Che senso hanno un'"Antigone" e tutti quei pianoforti e percussioni dopo "Odipus Rex" o "Les Noces" di Stravinsky? La prima grande monografia italiana sull'autore dei "Trionfi" mostra infatti come l'incubazione della lunga e operosa carriera orffiana stia tutta in nuce nei 'Lehrjahre' nella città di Kandinskij, del "Blauer Reiter" e di Karl Valentin. Dall'ombelico della Baviera profonda, intrisa di 'Märchen', fiabe e filastrocche che suggono la gnomica saggia e sorridente d'un medioevo cristiano dalle tinte metastoriche, Orff trae la fascinazione per il cosmo fatato dell'infanzia, e il dialogo segreto tra passato e presente cui si abbevera l'intera sua produzione drammaturgica.
Fassone non si perde però dietro al ruolo occupato da Orff nel sistema produttivo o nella pubblicistica tedesca dagli anni venti: non lavora sull'aridità del dato d'archivio serializzato; n‚ antepone il rapporto con semplificazioni epocali rassicuranti quali espressionismo, 'Neue Sachlickheit', teatro didattico brechtiano, pure tutte ben presenti nell'esperienza del compositore.
Orff affida le coordinate d'un processo creativo autocosciente e lucido alla 'Dokumentation': monumentale e privilegiata raccolta di documenti, scritti e saggi in otto volumi, curata da lui medesimo. In essa Fassone trova un filtro in sintonia con la propria idea di 'Kulturgeschichte'. La discesa al Regno delle Madri, il mito di Antigone nella cultura occidentale da Sofocle a Heidegger, la metrica classica come nucleo generante del ritmo musicale: retroterra remoti come i "Lamenti" di Monteverdi, il teatro gesuitico barocco o i carrezzevoli 'Wiegenlieder' lacuali: tutto è passato al vaglio esigente d'un umanesimo che spiana ogni pregiudizio persino di fronte ai troppo noti "Carmina Burana".
L'ordinamento dato alla materia è conseguente: un 'continuum' denso, tradizionale nella disposizione diacronica e nel prevalere dell'elemento verbale su quello tecnicomusicale nelle smaglianti analisi delle partiture. Fassone è erede d'una scuola musicologica in cui la penna virtuosa e l'aggettivo tornito lasciano talora stupefatti intorno al sempre felice risolversi del giudizio critico nel nitore d'eleganti ritrovati formali.
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