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Da leggere per pulirsi il cuore da quel che rimane delle ideologie, delle omertà e falsità diffuse.
A cinque anni di distanza da "Emily e le Altre. Con 56 poesie di Emily Dickinson", Gabriella Sica, con "Cara Europa che ci guardi (1915-2015)", ci offre (o forse affida?) un libro pacatamente lavorato, intriso di tessere essenziali a ricomporre (almeno dal cuore) un puzzle europeo in disfacimento, sorvegliato nella struttura mappata e diacronica degli eventi personali e universali incatenati da fili spessi e possenti di memorie-verità, «ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano» in base a un flusso espositivo mai caotico, spesso abbacinante; un esteso libro sapienziale di risposte coraggiose da porsi e di domande risolutive da darsi con la consapevolezza che molti degli assilli da sempre presenti non verranno risolti, che poco dell’esorbitante «male elementale» incarcerato intorno a noi riuscirà a sdipanarsi in bene primordiale, che noi tutti dobbiamo essere i primi, lontani dall’ego che ci attorciglia, a riunirci attivamente e geograficamente per coltivare un nuovo comune umanesimo, per piantare, tracciando ampi solchi dell’inizio e annaffiando, mattina e sera con parsimonia, una nostra speranzosa «utopia dell’umano». Nell’inestricabile cortocircuito in cui l’Europa (e non solo) è immersa, incartocciata fra ingenti ammassi di rottami che intasano le vie comunicative del comprendersi, l’unica strada percorribile appare quella di affidarsi a “indicazioni e segnali su come uscire dal labirinto e come incontrare il futuro”, di lasciarsi andare fino a chiedere a noi stessi l’impossibile, l’invisibile chiarità della nettezza. E in questo polifonico e arcobalenico libro, fatto di riverberi memoriali antichissimi e fecondi, in uno stile mai forzatamente circoscritto a un programma prestabilito, a spazi universali dal respiro più aperto e accorato si affiancano incursioni introspettive verso piste più intime e popolari, verso tane escatologiche grondanti miniere preziose d’umiltà e d’umane intenzioni.
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