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Anno edizione: 2023
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Non è solo un libro di esplorazioni polari, ne solamente un affresco storico. Perché all'autore interessa soprattutto l'uomo, Jens Munk. Un uomo straordinario per capacità, coraggio, determinazione e tuttavia perdente. Schiacciato dalla nobiltà che non lo vuole nei suoi ranghi cerca il successo con il commercio, le esplorazioni, la caccia alle balene, la guerra, vedendosi sempre accantonato a favore di qualcun altro. Magari meno competente e capace di lui, ma nobile. "Non era un sognatore anche lui? Aveva mai potuto ancorarsi alla realtà e accontentarsi di quel che aveva a portata di mano? Era un bastardo e voleva essere nobile. Aveva ereditato una brocca di argento e sognava un feudo. Aveva fantasticato di diventare cacciatore di balene ed esploratore, e infine si era lanciato in una competizione intorno alla terra che, con tutte le sue tempeste ed i suoi iceberg, era di gran lunga meno reale del suo sogno. Il re lo aveva sostenuto, nemmeno Christian IV, infatti, riconosceva la sovranità della realtà. Anche lui aveva ereditato una brocca d'argento e desiderato un feudo, la brocca era la corona danese e il feudo il vasto mondo. Aveva mandato le sue navi a colonizzare l'Oriente e l'Occidente, e ora si preparava a marciare di persona alla testa di un'armata verso sud. Verso la Guerra dei Trent'Anni."
Molto equilibrato, il romanzo sa conciliare il gusto dello storico con il fascino dell'avventura, dosando piacevolmente le ambientazioni e le dettagliate ricostruzioni, che riescono nell'intento di ricreare l'atmosfera e la vita quotidiana della Danimarca del tempo ed immergono realisticamente il lettore nel racconto fianco a fianco con il capitano Munk ed i suoi marinai, con la vicenda di quest'uomo che non si arrende mai ed ha il coraggio, e la determinazione, di ricominciare sempre da capo, impegnando tutta la vita all'inseguimento dei suoi ideali, nonostante le sconfitte e le contrarietà. Una storia avvincente, raccontata con uno stile pacato che interessa e coinvolge dalla prima all'ultima pagina.
Recensioni
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Che in questo mondo sopravvivano i più adatti, non i migliori, è verità che circola da lunga pezza, da ben prima che Darwin ne abbia fatto il cardine della sua teoria dell'evoluzione: la quale proprio perciò è così innervata di elegia, e tanto amata da scrittori e poeti. Lo stesso pathos investe la magnifica vicenda del Capitano Jens Munk, che Thorkild Hansen (1927-78) ricostruisce e narra con ritmo magistrale e dolente ironia, e spudorata simpatia per il suo eroe votato all'amarezza. Figlio di Erik, prepotente feudatario caduto in disgrazia, morto in carcere suicida, Jens Munk (1579-1628) vive ai tempi di Shakespeare e Galileo, di Bruno e di Montaigne, in quella Danimarca in cui (come diceva Amleto) "c'è qualcosa di marcio": nobilastri inetti e arroganti, pieni di invidie, e un re, Cristiano IV, che "ha i suoi momenti di bontà" - anch'egli a modo suo un sognatore, incapace di riconoscere "la sovranità della realtà" -, ma che non è "di natura modesta, pensa che la storia sia fatta di risultati, di vittorie, di successi; non sa che non è che una somma di inizi".
Cosa che invece sa benissimo il fedele Jens Munk, pronto ogni volta a ripartire dal niente (davvero dal niente: "Strisciare carponi come un animale. Frugare nella terra con dita senza unghie per trovare radici"): capace di improvvisarsi mercante e cacciatore di balene, armatore e capitano di marina, vincitore di pirati, soldato e, soprattutto, esploratore - in ogni attività eccellendo, a ogni successo ripagato con la moneta della gelosia e l'ingratitudine. Beninteso, conoscerà i suoi periodi di ricchezza, Jens Munk: ma sempre di breve durata, e senza riconquistare mai l'agognato titolo nobiliare. Tanto meno dopo la sua impresa più spettacolare e necessariamente votata alla sconfitta: la ricerca di quel passaggio a Nord-Ovest che eluderà tante altre spedizioni prima d'esser finalmente scoperto, quasi tre secoli più tardi, da Amundsen nel 1903.
Sublimi certi paesaggi polari, quando le navi di Munk sono bloccate dai ghiacci e il suo equipaggio è decimato dallo scorbuto: "E arriva quel giorno d'autunno in cui il sole splende per l'ultima volta dietro la collina a sud, e sul crinale si può contare ogni singola pietra, mentre sul versante nord, nero come il carbone, scompaiono tutti i dettagli. Spunta un caribù e si immobilizza al centro del sole come un moscerino nell'ambra. Poi tornano le tenebre, il ghiaccio geme sotto la caduta di temperatura, in tutti i meandri del labirinto torna a regnare il Minotauro e ruggisce sotto l'aurora boreale". Né Hansen è meno felice nella restituzione del paesaggio storico, movimentato e variegatissimo, piuttosto pointillisme che il solito affresco. Né nell'introspezione psicologica, casta e tanto più coinvolgente perché esercitata su un personaggio all'apparenza - e anche in realtà - così schietto e trasparente. Né in certi tocchi d'ironia più o meno maliziosa: come quando la moglie di Munk, che "non era Penelope", stufa d'aspettare il marito giramondo, si risposa con un tessitore di Copenaghen: "Si chiamava Asmus Skult. Emerge dalle carte conservate che la sua attività nella confezione di vestiti non aveva impedito a Kathrine di offrirgli quelli di suo marito rimasti nei bauli". Il tutto raccontato senza fretta, eppure con straordinario senso dei tempi: cinquecento pagine di suspence rilassante (se mi si permette l'ossimoro), uno dei più bei romanzi d'avventura in circolazione, e un ennesimo motivo di gratitudine all'Iporborea, che lo ha scovato per il piacere di chi continua a leggere per piacere.
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