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Quando lessi “Il giovane Holden” sapevo benissimo di avere tra le mani un’opera di quelle che non si discutono, l'unico problema che riscontrai con il libro di Salinger fu un senso di estraniazione, mi parve troppo datato per impossessarmene, c’era tutto di lui ma nulla di me. L’ho letto, l’ho ammirato, ma non mi parlava. Perché questa premessa? Perché “Il canzoniere di Tonino – Da Mondello a Parigi”, soprattutto nella prima parte, mi ha fatto pensare quasi ad ogni pagina al percorso formativo raccontato dal grande scrittore statunitense e anche nei capitoli successivi, quando ormai Tonino/Holden cresce e se ne va per la sua strada fino a Parigi. Eppure, con il libro di Mikonos Saban, o meglio, di Monica Bassano quella distanza dettata dal tempo, dal linguaggio, dallo stile non l’ho percepita, al contrario, in quelle pagine mi ci sono sentito dentro, coinvolto e spesso rappresentato. Mi sono domandato se la differenza fosse nel linguaggio, appunto, nell’ambientazione, nella modernità della storia, con le implicazioni nella “grande Storia” con cui si mescola, attraverso il riferimento ai fatti terribili del Bataclan. La risposta che mi sono dato, però, è diversa perché, a mio avviso, è stata la poesia a regalare universalità a tutta la storia, i versi di cui questo libro si compone, che si alternano alla narrazione pura, alle vicende piccole e grandi, semplici, familiari e quotidiane che Monica Bassano ci racconta. Ho interpretato le tante poesie che intervallano lo scorrere degli eventi come il punto di vista dell’autrice, il momento in cui tutto si ferma e ogni cosa acquista un significato, l’attimo nel quale smettiamo di raccontarci la vita e iniziamo a parlare di lei, per provare a capirla, a capirci. “Il canzoniere di Tonino” va letto perché ha qualcosa in più, perchè l’autrice non si limita a scrivere, descrivere e raccontare, Monica Bassano riesce a parlare con chi legge, che resta uno dei segreti più affascinanti della poesia.
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