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I. Katzenelson era un intellettuale ebreo di origine bielorussa che, come tanti, si ritrova a dover fuggire dal piano di sterminio dei tedeschi. In quanto intellettuale una delle sue missioni è farsi testimone di quanto stava accadendo, di quanto stava subendo il popolo yiddish. Nel corso della sua prigionia compone questi 15 canti rinvenuti solo successivamente. Non ci sono parole per descrive la sofferenza e la crudeltà di ciò che "il suo popolo" ha subito. Il coinvolgimento emotivo è incredibile e resta il rammarico di non poter apprezzare la potenza di questi canti nella loro lingua originale, lo yiddish.
Si può scrivere mentre si assiste a un genocidio, in attesa della propria fine, dopo aver osservato inermi la distruzione di un popolo, il martirio delle persone più care? A un poeta non rimane che un unico modo di esprimersi: l’urlo di dolore, di rabbia feroce, di protesta contro il destino e contro il cielo immobile, nella rievocazione commossa di chi ha perduto. Alle vittime innocenti immolate dalla furia tedesca, Katzenelson chiede, prima di sparire a sua volta, di alzare un grido che risuoni in eterno, scuotendo le coscienze dei posteri. Nei suoi versi ricostruisce la storia ebraica, a partire dal profetismo dell’Antico Testamento, cadenzato dalle implorazioni dei Salmi, già premonitore delle sofferenze del popolo eletto, per attraversare poi la diaspora, i pogrom medievali, e arrivare alle persecuzioni novecentesche, alla Shoah, al dolore collettivo dei giudei polacchi e a quello suo individuale: “Dolori voi v’ingrandite in me, crescete di misura / per quale tormento? Per trapanarmi dentro o per strapparvi via? / Non vi strappate via da me, dolori. Crescete dentro di me, state in silenzio, / zitti mentre mi lacerate, dolori miei che diventate grandi”. Katzenelson riscrive l’invasione nazista del ’39, la fuga disperata di intere popolazioni dalle proprie città, il tentativo di cercare scampo a Varsavia: quindi la reclusione nel ghetto con il terrore di una cattura improvvisa, il sospetto nei riguardi dei vicini, le delazioni reciproche, i rastrellamenti, le prime deportazioni, il freddo e la denutrizione degli scampati. Rivive il ricordo amaro della moglie adorata e dei due bambini più piccoli che non è riuscito a salvare, la rabbia contro i collaborazionisti e i neutrali indifferenti, il rimorso per la propria vigliaccheria incapace di ribellarsi. Tutto ciò viene espresso da lui con parole concitate, impetuose, prive di filtri.
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