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recensione di Bigi, S., L'Indice 1993, n. 4
Non tutti sanno scrivere un racconto che tratta di animali come se fosse una fiaba, magari raccontata alla sera dalle mamme ai piccini che stentano a addormentarsi. Ma parte del mestiere dell'etologo può essere talvolta quello di saper descrivere in maniera comprensibile a tutti ciò che fanno questi reticenti cari amici animali, compagni di vita e di uno spesso dimenticato percorso filetico comune a noi esseri "sapientoni" dagli occhi troppo spesso disattenti. E ancora una volta va a Danilo Mainardi il merito di far uscire dal magico cilindro dell'immenso regno animale personalità a quattro zampe con tanto di nome e cognome, riproponendoci una riedizione dell'opera "Il cane e la volpe" pubblicata per la prima volta nel 1976, grazie alla quale vinse il premio Glaxo per la divulgazione scientifica.
Si tratta di un piacevolissimo racconto che propone una figura di ricercatore forse di altri tempi ma così genuinamente umana e così auspicabile in un mondo scientifico sempre più intossicato dallo scientismo moderno, da renderlo un libercolo prezioso come antichi taccuini di naturalisti in esplorazione. Il libro narra di un lavoro sperimentale, oggetto della tesi di laurea di un giovane studente del Mainardi, Giampaolo Barilli, svolto lontano dagli asettici laboratori di ricerca degli istituti universitari italiani. È un vero e proprio esperimento casalingo, in cui la terra da esplorare è l'aia di una casa di campagna dell'ubertosa terra padana, con una squadra scientifica di tutta eccezione: il laureando Barilli e la madre, signora Barilli, propinatrice di pappine e omogeneizzati, allevatrice improvvisata di Kocis e Blue, i veri protagonisti del racconto. Si tratta rispettivamente di una volpe maschio e di un cane femmina di razza indefinita (meticcio di fox terrier) che vengono allevati insieme sin dalla primissima infanzia (quindici giorni di età) per vedere se - come Mainardi stesso afferma - la volpe creda di essere un cane e il cane creda di essere una volpe. O meglio se "il cane che ha appreso certi stimoli-segnale della volpe, risponderà ad essi con comportamenti propri della sua socialità (cioè in altre parole, tratterà la volpe come un appartenente della sua stessa specie)". Tutto ciò dovrebbe funzionare rispondendo ai rigidi, improrogabili tempi dell''imprinting' - fenomeno di fissazione di moduli comportamentali caratteristici di una determinata specie che agiscono nel periodo cosiddetto critico delle primissime fasi dello sviluppo dell'animale. Abbondano storie di pulcini "imprintati" su sagome generiche come ad esempio scatole di fiammiferi capaci di "accendere" attaccamenti passionali verso questi oggetti, oppure di taccole e oche - ormai famose protagoniste degli esperimenti di Konrad Lorenz.
Se l'esperimento riesce o no sta al lettore giudicarlo ed è parte irrinunciabile della lettura di questo racconto. Ciò che ci piace di più è soddisfare le nostre curiosità nel vedere come interagiscono dal punto di vista comportamentale queste due specie parenti prossime facendo supposizioni, scommesse, giocando insomma anche noi a fare gli etologi dilettanti, e ancora scommettendo, al colmo della concitazione scientista, se una volta adulti i nostri amici genereranno l'atteso ibrido o bastardo o licisca (animale che popolarmente si credeva essere l'ibrido tra il cane e la volpe. Sarà poi fertile o no?). È praticamente il gioco dell'Homo sapiens quello che, come Mainardi stesso riporta nell'ultimissima frase del libro, continua a giocare con la parola forse (se Kocis fosse stato un cane e Blue una volpe? Forse...).
Mainardi, ancora divulgatore propone questa storia di animali, ma non solo: la arricchisce - da vero e proprio etologo 'en plein air' - di disegni eseguiti da lui stesso, schizzi a tratto continuo, a volte spiraleggianti a volte rettilinei, che definiscono forme animali sempre care, presentando inoltre un divertentissimo corredo fotografico dei due protagonisti. Introduce quasi con commozione cenni autobiografici delle scuole medie a Soresina, del suo passato da sperimentatore di laboratorio che dalla luce rifratta del microscopio bifocale, osservando esserini invisibili a occhio nudo che affollano le acque dei laghi e dei fiumi, è passato a studiare i colombi viaggiatori grazie al bellissimo incontro col suo maestro zoologo Bruno Schreiber in un ristotantino al centro di Parma; e ancora si sofferma a spiegare, per i dilettanti di studi biologici o per i semplici appassionati lettori, il significato di argomenti più prettamente scientifici quali la speciazione, l'evoluzione, l'ibridazione.
Un libro che forse avremmo desiderato con meno appendici dell'autore e con maggior dovizia di particolari sui due personaggi animali. Certamente è un libro da gustare nei momenti più rilassanti della giornata magari sulle panchine di un parco cittadino o durante un viaggio in treno.
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