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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2007
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libro illuminante su una realtà di cui conoscevo poco e non pensavo fosse così estesa, tale da coinvolgere così tante illustri personalità del dopoguerra. Mi sembra però che non sia stato ancora messo bene in rilievo il fatto che queste personalità abbracciando nel dopoguerra la causa del comunismo massimalista hanno contribuito in modo determinante proprio al successo del comunismo in Italia negli anni '50/'60/'70 cosa che, guarda caso, non è avvenuta negli altri Paesi Occidentali. Queste personalità infatti hanno contribuito ad "inquinare" la verità diffondendo la favola che in Unione Sovietica si era realizzato il Paradiso in terra per i lavoratori, facendo così da semplice megafono alle posizioni della dirigenza del Partito comunista, in questo modo hanno fuorviato tanta gente e soprattutto tanti giovani acculturati che,in buona fede,hanno creduto che così tanti intellettuali non potessero non dire cose veritiere
In tempi oramai non sospetti stanno emergendo verità particolarmente curiose: chi disprezza tanto il Fascismo se n'è nutrito a piene mani! Certo essere capaci di cambiare idea, se lo si ritiene opportuno, è sintomo di intelligenza e libertà intellettuale. Ma se lo si fa, allora si deve rinnegare, insieme alla passata fede, anche tutto ciò che se ne è ottenuto, gloria, fama, ricchezza e posizioni di potere. Altrimenti si diventa come Gianfranco Fini, che ha usato il Movimento Sociale Italiano per salire alle alte cariche politiche, e poi ha rinnegato tutto facendo bene attenzione a tenersi ben attaccato la poltrona addosso. Oggi ci sono "personaggi" che si fregiano di patenti di uomini giusti e democratici, ma in passato hanno fatto e detto cose molto precise. Avessero almeno il buon gusto di tacere. Ecco, questo fantastico libro diffonde tante verità scomodissime che l'Italia repubblicana cerca ancora di tenere nascosta. Leggetelo...
Ah, siamo a un ennesimo capitolo di una telenovela iniziata già con Pansa... dalli all'antifascista che magari da ragazzo o da giovane era fascista... siccome prima era fascista dopo non può diventare antifascista, e se lo fa vuol dire che è un opportunista, un bugiardo, un vigliacco... ma certo, ma certo, come no... anche Bruno Vespa la pensa così... il dettaglio che tutti questi emuli di Catone il censore dimenticano è che se tanti intellettuali italiani cambiarono idea è perché il fascismo portò dissennatamente l'Italia a una guerra che venne persa malamente, a un disastro devastante. Allora, nel 1943, a molti caddero le fette di salame dagli occhi; allora molti capirono che il regime li aveva portati alla catastrofe. Allora ebbero il buon senso di rinnegare le proprie idee, e di cambiare strada. Adesso cosa dovremmo fare, dare addosso a chi ha capito, e invece ammirare quelli che dopo il disastro del 1943 hanno continuato dissennatamente a combattere una guerra persa, e a seguire quell'Omo che ci aveva trascinati nella devastazione? Bel ragionamento!
Recensioni
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Nell'estate 2006, il premio Nobel per la letteratura Günter Grass rivela nella sua autobiografia di essersi arruolato, diciassettenne, nelle SS. Lo scandalo dilaga, disseppellisce vecchi rancori, chiama in causa i nomi più noti della cultura tedesca. E come un'onda di marea riporta alla luce il panorama sommerso e accidentato dei rapporti tra intellettuali e totalitarismi in Europa. E' legittima infatti la domanda: e i tanti Günter Grass italiani? All'indomani del fascismo anche l'Italia piombò in un gorgo di odio, rivalità e tradimenti in cui l'imperativo categorico era rinfacciare i trascorsi altrui all'ombra della dittatura prima che venissero denunciati i propri. La guerra all'ultima delazione infuriò sulla stampa, come nella corrosiva rubrica "Caccia al fascista" inaugurata dal "Borghese". Nelle università, dove il ritorno dei professori ebrei cacciati dal regime fu accompaganato da amarezze, ingiustizie e polemiche. Nelle aule parlamentari, dove il passato brandito come arma nella lotta politica non risparmiò neppure le figure più illustri del Pantheon antifascista. Per sottrarsi all'epurazione, l'unica via fu cancellare le tracce, con strategie diverse poi perpetuate e raffinate per decenni. Negare l'evidenza. Truccare i calendari. Sublimare il passato nelle opere artistiche del "dopo". E lamentare all'infinito la propria "generazione perduta", smarrita, incosciente.
Sulla scorta di un ricco tessuto di citazioni e confronti, Pierluigi Battista analizza la malattia di un dopoguerra che, contrapponendo un passato da demonizzare a un presente mitizzato, ha impedito all'Italia di assimilare la "metamorfosi collettiva" dal fascismo all'antifascismo. Inserendo la vicenda del rapporto negato tra intellettuali e regime in un quadro storico-politico più ampio, contribuisce a spiegare una ferita che ancora oggi lacera l'Italia. Per dissipare la cappa di silenzio che avvelena il rapporto degli italiani con la loro cultura e la loro storia.
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