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Il carteggio tra i due giganti della musica europea del primo 900,Mahler e Strauss, pubblicato da Archinto con un'impressionante apparato di note,copre più di vent'anni:da quando i due compositori ne avevano rispettivamente 24 e 28,alla morte di Mahler,temuta e preannunciata da un toccante biglietto dell'amico datato maggio 2011.Secondo l'appassionata introduzione di Nicola Montenz,a emergere in queste lettere è "non solo il percorso parallelo di due creatori staordinari,ma anche l'immagine di due lavoratori infaticabili,innamorati del proprio mestiere e per nulla propensi a sacrificare la propria deontologia alla vanità o all'approssimazione.Due professionisti generosi,dispostissimi a elargirsi consigli,a cedersi strumenti musicali e cantanti,a permettersi qualche frecciatina contro i colleghi,riceando sotto gli occhi del lettore l'affresco di un tournant du siècle..".Ironico,sicuro di sé,provocatore Strauss:"Caro amico!Lei è e resta un vecchio testardo!..Le chiederei di essere un po' meno rigido", e ancora:"Naturalmente ho diretto i suoi Lieder per avere la certezza che lei avrebbe accettato il mio balletto!Eh sì, sono fatto così!Lo sanno tutti!"; invece sensibile, permaloso, insicuro e tormentato, ma orgogliosissimo, Mahler:"Lei sa benissimo che io non sgomito certo per impormi, e non sono minimamente vanitoso,"Devo procedere lentamente nel rieducare i viennesi,dopo decenni di metodico istupidimento..","Lei non può immaginare quanti rifiuti stia accumulando..Dio!La Storia andrà avanti anche senza la mia musica".Strauss alle prese con la censura ottusa che gli vietava la messa in scena di Salomé,Mahler amareggiato dalle invidie e dalle incomprensioni di Vienna che lo costrinsero a emigrare negli Stati Uniti:ma entrambi convinti della propria e reciproca grandezza,e della piccolezza dell'ambiente che li circondava.Con più spavalderia il primo,con amara malinconia il secondo,seppero riflettere generosamente croci e delizie della loro anima e del loro mondo.
Recensioni
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Il dopo-Wagner in Austria e in Germania è stato dominato da due artisti quasi coetanei che se ne sono spartiti l'eredità e ne hanno ricavato conseguenze autonome e feconde. Si tratta naturalmente di Gustav Mahler e Richard Strauss, compositori profondamente diversi, uniti tuttavia da un'inossidabile stima reciproca. Ce lo testimonia lo scambio epistolare che li legò per diversi anni, ora di nuovo accessibile al lettore italiano nella nuova edizione Archinto (peraltro una prima traduzione italiana, che riproduceva integralmente l'originale tedesco a cura di Herta Blaukopf, era già stata fatta nel 2003 da Artemio Focher per SE). Si tratta di quasi cento lettere che coprono l'arco di una dozzina d'anni, per due terzi scritte da Mahler, mentre quelle di Strauss sembrano al momento perdute fino al 1897. Dice bene il curatore Nicola Montenz nella sua prefazione, attribuendo la diversità fra i due a una percezione davvero incompatibile del senso della morte, che uno supera con l'ardore dei sensi, l'altro invece sente gravare come un nemico occulto e onnipresente. Strauss è il musicista del meriggio assolato, Mahler il musicista della notte; ma ciascuno ammira l'altro e vi riconosce un interlocutore degno di tal nome, un artista per cui vale la pena battersi. Ambedue sono compositori-direttori: comincia in questi anni lo scavalcamento progressivo della figura del direttore su quella del compositore, e loro sono i primi a vivere della direzione di un teatro, e certo non dei proventi delle proprie opere, almeno negli anni del loro carteggio.
Non aspettiamoci grandi scambi di vedute artistiche: i due trattano di argomenti molto pratici, che vertono quasi sempre sulla programmazione di un lavoro del collega. Assistiamo a una gara di generosità, spesso resa vana dall'opposizione delle istituzioni, della critica, della censura. Esemplare il caso di un'opera giovanile di Strauss, Feuersnot, che Mahler vorrebbe far rappresentare a Vienna, scontrandosi però con un ostracismo imprevisto: si sente benissimo il suo sdegno nella lettera del 6 luglio 1901; Strauss risponde l'11 luglio sdrammatizzando con il senso pratico dell'uomo d'affari: "Quanto alla censura di Vienna, mi viene da ridere! Non oso sperare in un divieto una pubblicità di questo tipo sarebbe una fortuna davvero straordinaria per quest'operina, tanto più che la rappresentazione (
) ne risulterebbe solo ritardata, non annullata, giusto?"; giusto sì, deve ammettere Mahler, che però non riesce a ridere sull'umana idiozia: "Mi pare che simili polveroni distolgano l'attenzione dall'opera d'arte per concentrarla sulla pura esteriorità; tutto questo mi disturba molto".
Quando sono in gioco i propri lavori, Mahler è un po' più diffidente di Strauss e fa mille raccomandazioni; qualche volta affiora la suscettibilità ("Non rincorro le 'prime assolute'. Non mi interessa l'opinione dei signori giornalisti"), ma quando si tratta di far trionfare l'arte diventa protettivo come un fratello maggiore (si vedano le istruzioni che dà a Strauss perché si ingrazi gli ambienti che ne dovranno promuovere la prima opera teatrale, Guntram). Interessante anche il riferimento a diversi balletti che Strauss poi abbandonò, ma di cui dava conto "in anteprima" all'amico; così come sono preziosi i giudizi sui cantanti e i riflessi della vita teatrale (per esempio la documentazione sulle difficoltà incontrate da Salome per superare la censura viennese). Un libriccino da leggere d'un fiato, anche grazie alla prosa sciolta della traduzione; peccato che dalla bibliografia, ancorché selettiva, siano state omesse le monografie di Quirino Principe, una su Mahler e una su Strauss, oltre al prezioso La serpe in seno di Mario Bortolotto, che per il lettore italiano sono riferimenti imprescindibili. Elisabetta Fava
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