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Anno edizione: 2020
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Deliziosa retrospettiva poetica che abbraccia quasi mezzo secolo di storia contadina italiana. Il tocco sensibile e delicato di un grande artista, abile affabulatore, sublime narratore di atmosfere incantate.
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BERTOLUCCI, ATTILIO, La camera da letto. Libro secondo, Garzanti, 1988
BERTOLUCCI, ATTILIO, La camera da letto. Libro primo e secondo, Garzanti, 1988
(recensione pubblicata per l'edizione del 1988)
recensione di Spampinato, G., L'Indice 1989, n. 3
Il libro primo de "La camera da letto" esce nel 1984, poema di vicende familiari, "romanzo in versi" splendidamente inattuale, presentato da uno scritto breve ma denso dello stesso autore: un risvolto di copertina che può essere una spiegazione, una notizia, o una 'ratio', sul ricordo di quella cui erano tenuti i poeti medievali, pena la vergogna. L'autore vi afferma, tra l'altro, che al titolo "già molto domestico, "La camera da letto"" avrebbe voluto "a un certo punto far seguire 'Romanzo famigliare'. Il termine vagamente veniva da un saggio di Freud che s'intitola "Romanzo famigliare di un nevrotico". Ma quale poeta non è, prima di tutto, un nevrotico?". Il libro secondo, a quattro anni di distanza, riprende il filo della narrazione da dove era stata tralasciata, mentre la premessa del poeta, indugiando sui temi del "quotidiano, unica fonte e musa del poeta-attore", giunge quasi all''excusatio non petita'. È un rischio calcolato, di cui l'autore si serve per indicare, nelle "pagine già scritte e pubblicate" di "Viaggio d'inverno", del 1971, il succo di un ipotetico "libro terzo", conclusione ancora da scrivere de "La camera da letto". La raccolta del 1971 inaugura l'"invenzione" del poema in versi di Bertolucci, ordinando cronologicamente i tratti autobiografici, fino ad allora presenze sostanziali, ma fluttuanti, nell'opera del poeta emiliano. La circolarità dell'autobiografia è dunque raggiunta.
Un'intera stagione di poesia coltivata a tempo pieno mira a descrivere un io sempre più sfuggente, inseguendolo fin nelle più remote testimonianze orali e scritte sulla famiglia. Si tratta di un egocentrismo esibito e, talvolta, struggente, ma sempre animoso e vitale. A queste ricercate radici la poesia di Bertolucci, proseguendo in maniera ellittica e privata, mai marginale, la tradizione realistica italiana dell'ultimo Ottocento, si conforma e compenetra, stravolgendole in una forma di nuova naturalezza, una specie di verità ulteriore. Così, il documento che annota i fatti memorabili accaduti all'Italia ed alla famiglia "per un bel numero d'anni", è poco più di "un alibi non dico fabbricato, ma trovato dopo, per caso"; e la descrizione dell'Europa nel giugno del 1930 è vista attraverso un quadro di Bonnard, un paesaggio marino carico di luce e di particolari insulsi, ma riassunta nella composta saggezza del dottor Freud, genio dell'ordine che affronta i fantasmi della sua classe e della storia, cupi presagi dell'imminente catastrofe.
...e ancora il dottor Freud descrive casi clinici / prolungando il romanzo, moribondo genere / della sua classe in via d'immolarsi ". Voler considerare il caso clinico come un prolungamento del romanzo, contro l'apparenza non meno che la sostanza psicoanalitica, vuol dire rivendicare per l'avventura nevrotica una storia, una narratività cui era possibile credere, e solo per convenzione letteraria, non meno di cinquant'anni fa. Ma Bertolucci, educato all'alta scuola di Longhi (la stessa che formò il composito realismo di Pasolini) è pittore d'immagini, di storie che esigono una trama, naturalmente ridotta al racconto di un'atemporalità in cui nulla accade. Né può accadere nulla, per lo scacco matto di una nevrosi scontata in anticipo, e tanto più da un poeta-attore di se stesso. Il debito, altrimenti insostenibile, dell'ossessiva ricerca di sé, viene felicemente eluso, e finisce per risolversi nell'agile accortezza della disposizione di sfondi, interni o esterni, e di accadimenti. Che vengono seguiti con minuziosa perizia, anche i più banali, come l'"incontro imprevisto" tra il gruppo familiar-borghese costituito dall'autore, la mamma e la sua migliore amica, con "... la signora Maria, madre / del suo amico Virginio, ora sotto le armi ". È costei "...una signora bellissima di figura / e di carnagione ma tutta / bianca nella capigliatura su cui posa una paglia già estiva in accordo / con la seta dell'abito , variata / di nero e lilla in ramature grandi / e distese: si dirige, sbattendo appena gli occhi, ai tre esclusi volontari, / stretti in un angolo". E mentre l'autore, attonito per lo stupore, sprofonda in un flash back tenero e fantasticato di vacanze con l'amico ora lontano, un perfetto endecasillabo, proferito con signorile naturalezza dalla nuova ospite, lo riporta alla realtà: "Non mi vuoi presentare alla tua mamma?".
Non è forse il caso di indugiare sull'ovvio e risaputo legame tra Bertolucci e il cinema; quel che qui importa rilevare è che materiali svariatissimi, dalle virgiliane aperture paesaggistiche ("l'inverno ci ha lasciati / senza far rumore, pellegrino fantastico / incamminato verso l'Appennino padre,") alle intense allocuzioni domestiche di sapore "novecentista" ("la tua giovinezza si screzia / come fa il garofano che t'assomiglia, / io ti cammino accanto dubitoso / nel crepuscolo oscurato di guerra. "), si fondono e s'alleggeriscono reciprocamente, stemperandosi in un tratteggio ripulito da ogni suggestione di "parola pura". La sfida al prosaico squallore delle cose che passano e si perdono è condotta su questo terreno, così ingrato per la poesia moderna, cresciuta sull'assenza di un significato, sulla forza interiore dell'analogia.
L'assoluto presente della narrazione è la forma forte in cui il Tempo diventa il vero protagonista del romanzo in versi, e tutto ciò che in esso accade trova realtà, come il "grifasino" dalle ali di seta che attende i ragazzi Bertolucci nella stalla, finzione palpabile da accarezzare. "Come potrei io, assentendo, / mescolare la storia / alla fola, o interrompere il passo tortuoso / ma agevole al pari / delle mulattiere ben selciate / appena infastidenti il muso / del Grifasino amico / con i folti noccioli, i rovi / ardenti di more purpuree perché acerbe / ancora nel colmo dell'estate?" La storia privata, la "camera da letto" si contrappone a quella universale e al mondo, come non accadeva ad Omero, come è necessario che accada a Proust.
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