La stagione politica che si suole definire "degasperiana" (1945-1953) vide il passaggio dell'Italia dal fascismo e dalla monarchia alla democrazia e alla repubblica, ma anche avviò una ripresa economica che portò il paese dalle macerie della guerra agli albori del boom. Fu una stagione, dunque, eccezionale, eppure fu opera di uomini già, a quel tempo, superati. Si può ben dire che Alcide De Gasperi dava corpo, assieme a quanti lavorarono con lui, allo "heri dicebamus" con il quale Croce salutava il ritorno alla democrazia come la chiusura di una parentesi − il fascismo − e la ripresa di vecchie tessiture su vecchi telai. Croce si sbagliava: e tuttavia assieme a De Gasperi tornavano alla luce della ribalta figure della politica prefascista, da De Nicola a Einaudi a Croce, da Pacciardi a Bonomi, a Saragat, Nenni o Togliatti (rimase ai margini il solo Sturzo, fondatore di quel Partito popolare in cui aveva militato anche De Gasperi). Non erano il nuovo, ma lo capirono e seppero secondarlo. Ricci ripercorre succintamente ma con chiarezza il percorso postbellico dello statista trentino, anche se prende l'avvio solo a partire dal governo, il quinto da lui presieduto, uscito dalle elezioni del 18 aprile 1948, dalle quali uscì il primo parlamento repubblicano. Era il governo di una coalizione quadripartita, ne facevano parte i democristiani in posizione dominante, i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici. Restavano fuori, a sinistra, i socialisti e soprattutto il Pci togliattiano (un'esclusione le cui conseguenze perdurano fino a oggi) e, a destra, i missini. Quella stagione, detta "centrista" e assai maltrattata dalla cronaca e dalla storia, conseguì successi che, annota Ricci, "solo in una prospettiva complessiva e di lungo periodo è stato possibile riconoscere in tutta la (loro) portata"; il riconoscimento riparatore è un "risultato soprattutto degli ultimi tempi quando, dopo la crisi della Prima repubblica, se ne è cominciato a tracciare i bilanci". Ricci mette tra le cose positive la "difficile" scelta atlantica e l'europeismo, l'adesione al Piano Marshall, la riforma agraria, l'istituzione della (oggi famigerata) Cassa del Mezzogiorno, il piano del lavoro, cui nel tempo andrà aggiunto il piano Fanfani per l'edilizia, ecc. La stabilizzazione dell'Italia nel quadro occidentale, con il rifiuto di un subdolo neutralismo pur autorevolmente ventilato, insieme con il fermo mantenimento dell'ordine pubblico durante evenienze l'attentato a Togliatti del 1948 e l'occupazione delle terre contro la progettata riforma agraria − che diedero occasione a sommosse sporadiche, furono successi indubbi anche se pagati parecchio in termini di consenso. L'ultimo governo De Gasperi, il settimo, cadde a seguito della sconfitta subita alle elezioni del 7-8 giugno 1953 dalla coalizione di centro, logorata all'interno e forse penalizzata dalla campagna delle opposizioni contro una legge elettorale definita "legge truffa". Aveva dovuto affrontare anch'esso problemi assai ardui, da quello di Trieste all'avvio del dibattito sull'istituzione dell'esercito europeo, la Ced, poi fallita. I governi successivi, sottolinea Ricci, non avranno più la "stabilità" di quelli centristi e il lungo travaglio si concluderà con l'ingresso dei socialisti al governo. Fu il primo centrosinistra. Angiolo Bandinelli
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