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Ecco una vicenda italiana insieme ordinaria e straordinaria. Il protagonista è un ufficiale degli alpini piemontese. Durante la guerra viene mandato sul Don, ma fa ritorno prima della grande offensiva russa, perché trasferito nella valle dell'Isonzo a presidiare la ferrovia. Qui giunto, l'alpino laureando in scienze filologiche scopre l'esistenza degli sloveni e si innamora della lingua, della cultura, dei canti e della gente. Si mescola agli abitanti e comincia a studiare lo sloveno. Dopo l'8 settembre torna in Piemonte, ma ci resta poco: la nostalgia del piccolo mondo sloveno è troppo forte e l'unico modo che Barral riesce a escogitare per tornarci è di arruolarsi nel battaglione Mussolini. Riprende a frequentare gli sloveni e si trova una ragazza, che sposerà. Finita la guerra, il battaglione viene catturato dai partigiani. Barral finisce allora a Borovnica, il più terribile campo di prigionia jugoslavo. Qui le possibilità di sopravvivenza sono scarse, ma Barral è l'unico dei prigionieri a conoscere lo sloveno e viene destinato all'amministrazione. Mangia. E perciò sopravvive. Non solo: tiene i registri dei prigionieri, è informato su tutti gli aspetti dell'amministrazione e conosce da vicino i comandanti e tutti i carcerieri. Il suo diario, in cui tutte le informazioni sono riportate, costituisce quindi la fonte principale per la conoscenza di quel che è accaduto a Borovnica. Alla fine dell'estate del '45 Barral esce, torna in Italia, ma si reca spesso nel paesino sull'Isonzo. Agli inizi degli anni cinquanta le autorità jugoslave gli vietano però l'ingresso nel paese. Ma Barral non si scoraggia e, appena Tito allenta il pugno di ferro, riallaccia i rapporti con il mondo sloveno, diventando il traduttore di alcuni tra i maggiori scrittori e storici sloveni del dopoguerra.
Bruno Bongiovanni
Borovnica '45 racconta le vicissitudini di guerra di un ufficiale dell'esercito italiano inviato al confine orientale d'Italia durante la seconda guerra mondiale. Gianni Barral si trova a combattere contro i partigiani sloveni e quelli italiani ma, contemporaneamente, si radica nella comunità slovena di un paesino della val Baccia, che lo accoglie e lo protegge anche al momento della resa, nella primavera del 1945, salvandolo dalle fucilazioni sommarie. Poco dopo però, l'ufficiale viene arrestato e deportato nel campo di concentramento di Borovnica. Tra fame e sevizie la mortalità è altissima, ma Barral, che ha imparato lo sloveno, viene assegnato all'amministrazione del campo e ha così salva la vita. Durante i tre mesi trascorsi a Borovnica, Barral fissa nella memoria e ora anche sulle pagine le atrocità di cui è stato, suo malgrado, testimone.Il volume presenta un notevole valore storico e documentario poiché è fonte primaria di informazioni sul funzionamento del campo della morte di Borovnica.È arricchito da un inserto fotografico in bianco e nero e da cartine che illustrano i luoghi che sono stati teatro dei fatti narrati.Inquadramento storico di Raoul Pupo, massimo esperto di storia del confine orientale d'Italia.
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