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Ottima e documentata sintesi della storia della bomba atomica, condita da curiosità sul Progetto Manhattan e sulla vita degli scienziati intervistati. Una piccola perla poco conosciuta ma che andrebbe assolutamente letta. La scrittura è scorrevole e non si è mai annoiati, in nessun punto del libro. Consigliato sia a chi è già informato o appassionato a questioni simili, sia a chi è totalmente acerbo su quest'argomento.
Un libro interessante, facilmente leggibile, addirittura coinvolgente per certi aspetti. Breve ma chiara la storia della bomba atomica, sufficiente a chiarire le idee. Molto più istruttive le interviste, non solo perchè i personaggi sono stati protagonisti dell'invenzione della bomba (o delle bombe), ma per molti aspetti di carattere etico, che ancora oggi hanno importanza. Basti ricordare che alcune interviste non possono non concludersi con dei riferimenti all'oggi, soprattutto all'oggi statunitense ed alla sua politica militare. Queste cose devono far riflettere. Questo libro ne da l'occasione.
Un libro coinvolgente, che lascia raccontare la storia dello sviluppo della bomba atomica agli ultimi testimoni diretti. Incredibile come l’autrice sia riuscita a rintracciare i dieci protagonisti. Personaggi veramente singolari: alcuni di grande spessore intellettuale, altri che hanno affrontato delle scelte morali di tale gravezza da rendere insignificante qualsiasi nostro dilemma quotidiano. Un libro godibile non solo dagli appassionati di scienza, ma da chiunque ami le storie di vita.
Recensioni
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La bomba è, ovviamente, l'atomica mentre le storie sono quelle di alcuni scienziati che con la bomba hanno avuto a che fare, o perché hanno partecipato al Progetto Manhattan (che portò alla sua costruzione) o ad altri progetti che portarono a nuove bombe (come Hans Bethe e Richard Garwin, che collaborarono alla costruzione della bomba a idrogeno, o Sam Cohen, che inventò la bomba al neutrone), o perché avrebbero voluto costruirla ma non ci sono riusciti (come il tedesco Carl von Weizsäcker), oppure ancora perché ne hanno visto gli effetti (come il giapponese Shoji Sawada al quale, quando era ragazzo, cadde quasi in testa).
Salvo una, che è un articolo tradotto dall'inglese (scritto dalla moglie di Ted Hall, uno dei fisici che passò informazioni ai sovietici), tutte le "storie" sono in realtà interviste "dirette" dell'autrice - una giovane e brillante giornalista scientifica - agli scienziati, alcuni famosissimi, altri meno noti ma non per questo meno interessanti. (Quelli ancor più famosi sono ormai purtroppo scomparsi). Precede ogni intervista una breve storia del personaggio che consente, anche a coloro che della bomba sanno poco - e che a quasi sessant'anni dalle prime esplosioni sono probabilmente in tanti -, di inquadrarlo e di comprenderne il ruolo e l'importanza.
Il libro si apre con una Breve storia dell'atomica che ripercorre lo sviluppo della fisica nucleare a partire dalla scoperta della radioattività, poi dei neutroni e del loro ruolo nella fissione dei nuclei atomici, infine della reazione a catena e del suo potenziale utilizzo come imponente fonte di energia. Ancorché "breve", questa storia è molto documentata e, assieme ad alcune delle interviste, contribuisce anche a chiarire molte delle vicende sulle quali spesso si continua a discutere. Per esempio il fondamentale ruolo dell'austriaca Lise Meitner, la "vera" scopritrice della fissione, da sempre trascurata solo perché era donna (e per di più ebrea), oppure il perché gli scienziati tedeschi non riuscirono a costruire l'atomica. L'interrogativo tra impossibilità reale e scelta di boicottarne la costruzione - interrogativo sul quale Michael Frayn ha costruito il suo Copenaghen – viene chiarito soprattutto attraverso le interviste con von Weizsäcker, con Bethe e con Joseph Rotblat.
Per quanto riguarda il contenuto delle interviste, particolarmente interessanti e significative sono le dichiarazioni dei vari scienziati su molte altre delle questioni aperte dall'atomica e dal suo impiego in Giappone. Per esempio, sul perché si decise di costruire la bomba (per assicurarsi di riuscire a costruirla prima che lo facessero i nazisti), sul perché la bomba atomica fu usata nonostante la sconfitta dei nazisti e con la guerra ormai decisa (come "avvertimento" per i giapponesi forse bastava una semplice esplosione dimostrativa in una zona desertica e davanti a osservatori internazionali), sul perché fu impiegata contro civili inermi (per scoprirne il reale potenziale e gli effetti distruttivi su due città non ancora colpite da bombe tradizionali e, nello stesso tempo, per dare un avvertimento ai sovietici) ma, soprattutto, sul "come" ognuno degli scienziati ha moralmente reagito a quell'impiego (approvandolo, accettandolo come purtroppo inevitabile oppure abbandonando il progetto ancor prima che fosse concluso). Su quest'ultima questione - sicuramente una delle più coinvolgenti - risultano particolarmente significative le interviste con Philip Morrison e con Rotblat.
Morrison - in seguito divenuto assai noto come divulgatore scientifico - partecipò alla costruzione della bomba, ma cercò invano di opporsi al suo uso sulle città giapponesi, come del resto fecero alcuni suoi colleghi (per esempio Leo Szilard, James Frank e altri). Nel 1946 fu anche tra i fondatori della Federation of Atomic Scientists (divenuta poi Federation of American Scientists), il primo gruppo di scienziati che si opponeva alla guerra, soprattutto a quella nucleare, perché - come dichiara nell'intervista - "appena passato il periodo in cui le informazioni sull'atomica erano coperte da segreto, noi fisici dovevamo usare i nostri quindici minuti di celebrità contro l'uso della bomba".
Rotblat è invece il fisico polacco, naturalizzato inglese, che abbandonò il Progetto Manhattan ancor prima che la bomba fosse sperimentata nel deserto di Alamogordo. Pacifista convinto, l'11 aprile del 1955 fu anche uno degli undici firmatari (l'unico ancora vivo) del primo documento sottoscritto da grandi personalità con cui si chiedeva la messa al bando delle armi nucleari. Il manifesto - noto come "manifesto Russell-Einstein" perché le due firme più autorevoli furono quelle di Bertrand Russell e di Albert Einstein - diede l'avvio al Movimento Pugwash, movimento che prese il nome dalla cittadina canadese in cui (nel 1957, in piena "guerra fredda") si incontrarono per la prima volta scienziati pacifisti provenienti dall'Ovest e dall'Est nel tentativo di mettere a punto una strategia comune per bloccare la corsa alle armi nucleari. Nel 1995 al Movimento Pugwash – e allo stesso Rotblat, che ne era presidente - fu assegnato il premio Nobel per la pace.
Per quanto riguarda invece l'"avvertimento ai sovietici", è significativa l'intervista con il russo Roald Sagdev, che ora vive in America (ha sposato la nipote di Eisenhower) e che racconta gli sforzi fatti dai sovietici nel settore nucleare dopo la fine della guerra. Val la pena infatti di ricordare che, se fra l'atomica americana e quella sovietica passarono ben quattro anni (dal 1945 al 1949), solo nove mesi separarono (tra il 1952 e il 1953) le bombe all'idrogeno delle due potenze. Ma, con la fine dell'Urss tutto questo è forse dimenticato.
Da non dimenticare è invece la breve e straordinaria epigrafe di Will Rogers alla Breve storia dell'atomica ("Non si può dire che l'umanità non faccia progressi: in ogni guerra ti ammazzano in un modo nuovo"), epigrafe che sembra prender spunto dalla grande molteplicità degli armamenti e del loro uso nelle numerose "battaglie" in corso, anche se in realtà poi si spazia dai kamikaze e dalla decapitazione dei singoli ai cosiddetti bombardamenti "mirati", il tutto condito con gravi e infiniti "effetti collaterali", anche a livello politico.
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