Bilancio pubblico e democrazia parlamentare sono intimamente connessi. Si potrebbe dire quasi geneticamente, posto che le prime rilevanti rivendicazioni parlamentari potevano ben qualificarsi come rivendicazioni di finanza pubblica. Sin dalle embrionali forme di democrazia parlamentare, dunque, il diritto dei bilancio resta l'arena più delicata in cui si incontrano - e immancabilmente si scontrano - governo e parlamento. Non è un caso che, nelle esperienze contemporanee, nei dibattiti parlamentari che si svolgono nell'arco del ciclo di bilancio si finiscono per riversare le principali tensioni politiche, a danno (se non si vuole entrare nel merito delle decisioni assunte, se non altro) della razionalità del procedimento. D'altra parte, quella del sovrano diritto della Camere in materia - con lessico d'altra epoca -, è una storia che è fatta di attriti e di crisi istituzionali. A cominciare dalla crisi prussiana della seconda metà del XIX secolo, che occasionò la ricca dottrina giuridica cui è ancora debitore ogni tentativo di riflessione in materia, fino agli episodi di shut-down delle ultime presidenze statunitensi. Per Colbert, che delle finanze francesi fu il modernizzatore, «il faut rendre la matière des finances si simple quelle puisse ètre facilernent être pas toutes sortes de personnes». Uno sguardo comparato al tema, oggi, forse costringe a giudizi più cauti. Le forme su cui si sono assestati, nei diversi ordinamenti, i rapporti di forza tra i titolari della funzione di indirizzo politico - di cui il bilancio, come è stato detto, è «trascrizione in termini contabili» - hanno modellato procedimenti di finanza pubblica che, al di là di una struttura essenziale condivisa, presentano differenze profondamente caratterizzanti. Così, quella del diritto del bilancio diventa una cifra non trascurabile nello studio delle forme di governo e un indicatore dello "stato dl salute" delle democrazie parlamentari, oggi.
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