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Il libro è sorprendente e appassionante, purtroppo il massimo coinvolgimento coincide con la fine del libro, lasciandoti un po' di amaro in bocca. Lo consiglio comunque!
Sono stata bibliotecaria scolastica per 8 anni. Per me portare la lettura fra i ragazzi è molto importante. Quanto portarla nelle tribù africane. Credo che il commento IBS e quello dell'Indice non abbiano colto un aspetto fondamentale: la contraddizione fra la cultura scritta (occidentale, rappresentata dai libri)e la cultura orale dei popoli primitivi. In tutto il libro aleggia questo interrogativo: quanto è giusto portare i libri e quanto è giusto rispettare le tradizioni di quel popolo? Il finale stesso rispecchia questo interrogativo: rappresenta un atto di estremo rispetto per il libro o una rinuncia definitiva alla cultura dei bianchi? Un interrogativo aperto, che ciascuno può interpretare secondo la propria sensibilità. Un gruppo di noi bibliotecarie, sensibili alle problematiche interculturali, ha iniziato una specie di book-crossing di questo libro, allegandoci qualcosa che esprima i sentimenti che ha suscitato. Crediamo che questo libro sia molto più importante della storia che racconta.
Bello, ma non sublime. Ne ho letti di migliori. I primi capitoli non decollano, solo verso la fine si riscatta e diventa avvincente.
Recensioni
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Fiona Sweeney vive a Brooklyn, ha trentasei anni, buona salute, un solido lavoro di bibliotecaria e un uomo con il quale sta pensando di convivere. Ma ama troppo la vita e troppo poco il suo compagno per lasciarsi irretire dal conformismo borghese. Così, quando sul sito web per bibliotecari compare l'inserzione di alcune società americane che cercano volontari per un progetto di alfabetizzazione del bush africano, non esita: si arma di farmaci antivirali e di una zanzariera, saluta il fidanzato e parte per il Kenya.
Comincia così La biblioteca sul cammello, il romanzo che Masha Hamilton, giornalista del "Los Angeles Times" e scrittrice, ha ora dato alle stampe. Che la protagonista sia giunta in Africa il lettore lo intuisce poi da ciò che accade all'interno di una capanna di Mididima, un villaggio abitato da una tribù nomade di circa centosettanta abitanti, che si sposta da una zona all'altra del Kenya nordorientale per sfuggire alla siccità e ad altri flagelli. Ed è qui che conosciamo Kanika, un'adolescente dai luminosi occhi neri, le labbra carnose e le treccine aderenti al cuoio capelluto. Kanika si sta svegliando, ed è felice perché oggi è il Giorno della Biblioteca; sa che ancora una volta si scorgeranno da lontano le sagome dei cammelli (uno lo monterà una donna bianca) con le casse di legno colme di libri pendenti ai lati delle gobbe. L'americana siederà all'ombra di un'enorme acacia, stenderà ampi tappeti sul terreno e li coprirà di libri di ogni genere: libri che parlano di posti lontani dove le persone non vivono in case fatte di paglia ma di pietra; non viaggiano al ritmo lento dei cammelli ma si spostano su veloci marchingegni rotati; dove al momento del pasto la scelta non è tra due sole pietanze (sangue di cammella con granturco o latte di cammella con granturco) ma tra un'infinità di cibi dai gusti più disparati. È la Città Lontana, dove se si ha sete non si beve l'acqua raccolta faticosamente durante la stagione delle piogge, ma basta ruotare dei pomelli per avere acqua fresca in qualunque momento. Pare che in questo luogo incantato non esista nemmeno l'infibulazione!
Accanto a Kanika, una piccola corte di personaggi altrettanto tipici: nonna Neema, una delle poche donne ad avere autorità nella patriarcale tribù; Matani, il maestro del villaggio; sua moglie Jwahir, "gambe da pantera e occhi accoglienti come l'acqua del deserto di Kaisut"; il giovane Taban che quand'era bambino fu assalito e deturpato da una iena maculata ma ora può sognare una vita diversa sulle pagine di un'edizione illustrata dell'Iliade e dell'Odissea. Ammaliata da un mondo che le sembra tanto migliore del suo, Fiona vorrebbe portarli tutti con sé negli Stati Uniti, ma quando torna con i visti d'ingresso, il villaggio non c'è più: la tribù si è nuovamente spostata, chissà dove.
Non siamo di fronte a un forsteriano Passaggio in Africa, naturalmente: a Hamilton mancano lo spessore intellettuale e l'ampiezza di visione dello scrittore inglese, ma la fluidità dello stile e l'abilità dell'autrice nel farci vedere luoghi e persone, uniti al fascino esercitato dalla "location", fanno di questo romanzo un gradevole esempio di letteratura anticoloniale.
Stefano Manferlotti
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