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Fin da subito si è proiettati in un’atmosfera da incubo dove la storia altalena con un ritmo incalzante tra avvenimenti di “tragico sadismo” e di “continua salvazione”. Vale la pena di leggere questo libro da cui emerge una ricerca profonda dell’animo umano, esplorato in condizioni estreme di incertezza, buio e violenza. L’autore non ha paura di sperimentare nuove tecniche, soprattutto per quanto riguarda il coinvolgimento del lettore; sebbene il suo ruolo non sia chiaro: è un puro spettatore oppure un’altra vittima? Sorge addirittura il dubbio se il suo ruolo non sia invece quello di complice del carnefice.
A rinchiudere cinquanta persone in una stanza buia senza luce e senza uscita si ottiengono solo cinquanta persone perse come un bambino in mezzo alla folla, nonostante di bambino in quel buio ce ne sia soltanto uno. Cinquanta persone che stavano facendo le mille cose quotidiane, che di colpo si sentono perse e sole e in preda allo sconforto. Tutto questo si apprende solo grazie ad una voce narrante esterna ma che sa tutto ciò che succede lì dentro. Di un uomo che cerca di placare il panico, di una donna che trema, di un bambino che piange, che poi dorme e non si accorge delle bestialità che gli accadono intorno, di un vecchio che ancora ha senso di giustizia e che di un ideale paga le conseguenze. Lo stile del racconto è frenetico nel riportare le esclamazioni dei prigionieri, lento nel descrivere gli istinti primari che prevalgono quando tutti i sensi si smarriscono, cinico nel rubare speranze di salvezza alle vittime della "cecità" e nel rimandare il sollievo della fine della crudeltà umana ai lettori. Il romanzo non è nemmeno una metafora della società persa di oggi, è una pura fotografia di quello che accade alla luce del giorni tutti i giorni.
Cinquanta persone improvvisamente si trovano catapultate in un luogo imprecisato: un grande stanzone con un misterioso e buio corridoio che porta chissà dove. Cosa succederà? Questo è l’interrogativo che il lettore si chiede sin dall’incipit accompagnato da una voce narrante che parlando in prima persona racconta da “osservatore esterno” quello che succede all’interno del luogo addentrandosi addirittura nei pensieri delle persone. Ecco quindi che il lettore familiarizza con il puro terrore che avvince all’inizio i malcapitati, si rende partecipe del loro smarrimento e man mano rimane invischiato nel disgusto quando la situazione degenera e viene mostrato a che livello di disumanità è in grado di giungere il genere umano. Ciò che avviene in questo luogo è la rappresentazione in piccolo di ciò che ogni giorno accade o può accadere sul nostro pianeta e lo scrittore lo racconta con uno stile pesante, claustrofobico che attanaglia il lettore fino alla fine. Come ogni libro di quest’autore, di cui ho già letto altri romanzi, anche quest’ultimo invita a riflessioni profonde su di noi in quanto esseri umani … se poi davvero di “umano” abbiamo qualcosa quando si tratta di “salvare la nostra pelle”.
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