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Anno edizione: 2021
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Questo bel libro ha un solo lato debole: l'XI capitolo, dedicato alla musica sacra, inspiegabilmente tirato via ( basta confrontarlo con l'approccio di C. Rosen al medesimo tema, dove l'autore, con pochi tratti incisivi, fa giustizia di tutte le superfetazioni filosofiche, ed individua nella tecnica sonatistica la sua inadeguatezza a dar forma ad un periodare ampio e quasi inarticolato, necessario al sacro, e che indusse Beethoven ad occultare parte delle sue conquiste, ed a rifarsi a modelli haendeliani). Ma il capitolo intitolato " Subtematica" è un gioiello, e contiene un'analisi, quella della Sonata in fa# maggiore, che non la cede in nulla, per rigore ed acume, a quelle scritte dal grande studioso americano. Ma il capolavoro è l'illustrazione di alcuni aspetti dell'Eroica: qui, partendo da considerazioni puramente storiche, il rapporto di Beethoven con la Rivoluzione Francese, Dhalhaus, tramite uno sforzo analitico condotto con la precisione di un maniaco, giunge ad una sintesi che è puramente estetica; così, la Marcia Funebre diviene il compianto sulla morte non di Napoleone, ma del suo mito, e la vuota retorica de" La battaglia di Vittoria" il suggello musicale in cui si rispecchiano le macerie delle grandi idealità rivoluzionarie, ormai deluse e tramontate per sempre.
Recensioni
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scheda di Cirignano, A., L'Indice 1990, n. 8
L'unica cosa certa è che le certezze sono poche. Tanto più dopo le ricerche degli ultimi anni, tanto più su un fenomeno di complessità inaudita come il "caso Beethoven". È per questo che il grande Dahlhaus, in questa raccolta di saggi la cui ottima traduzione ci giunge postuma, non si lascia neppure sfiorare dalla tentazione di una biografia monumentale del tipo classico vita-opere. Anzi si dichiara scettico sulla proponibilità anche futura di un'operazione simile. Il suo intento è semmai quello di "aprire delle vie" verso un'esegesi dell'opera beethoveniana. Che non significa snobbare le conquiste lusinghiere della filologia, ma piuttosto partire di lì per andare in cerca di quello che i filologi, fatalmente, non potevano trovare: l'opera nel suo aspetto estetico. Per arrivarci il cammino è improbo. Perché, mentre rapporta passo passo il "mestiere" creativo di Beethoven alle estetiche del suo tempo, da queste Dahlhaus si deve continuamente guardare per non ereditarne i pregiudizi ideologici. È alto virtuosismo critico il suo. Capace di dare luce nuova perfino a vecchi relitti storiografici come le dicotomie classico/romantico, opera/biografia, forma/contenuto. E questo senza mai sottrarsi all'obbligo scientifico di esplicitare, insieme con i giudizi, i principi: ciò che fa del volume una nuova colonna della critica beethoveniana e una ineguagliata lezione di metodo.
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