Sono stati dedicati moltissimi studi alla bancarotta, con un travaglio esegetico frutto di un'intensa riflessione giuridica, ma, ancora oggi, si avverte l'esigenza di un inquadramento sistematico di questo reato «speciale», nella consapevolezza che, in sostanza, è rimasto inalterato dal Code Napoléon del 1807, sebbene sia profondamente mutato il contesto socio-economico in cui si sviluppano e realizzano gli illeciti fallimentari (rectius, concorsuali o dell'insolvenza) e siano modificate anche le regole di gestione economico-aziendalistica dell'impresa. Un immobilismo normativo a cui, dunque, corrisponde un energico dinamismo dottrinale e giurisprudenziale di definizione della materia fallimentare, che affonda le radici nella storia del diritto, passando dall'opera dei glossatori, per giungere all'importante lavoro di sistemazione di Benvenuto Stracca (XVI secolo), salvo poi, da questo momento, avvitarsi sulla proposta di letture esegetiche che si susseguono quasi in modo circolare, fino ai giorni nostri. Questo stretto nesso tra le incriminazioni contemporanee e le radici storiche della bancarotta consente di osservare che la ratio posta a fondamento della punizione del decoctor è da sempre individuata nella causa fraudationis, a cui, del resto, fa riferimento il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n.14, recante il "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza", allorquando esclude l'imprenditore dalle procedure di regolazione negoziata della crisi d'impresa se ha posto in essere «atti di frode» in pregiudizio delle ragioni creditorie. Il lavoro qui proposto si pone l'obiettivo di un'unitaria sistemazione della bancarotta, secondo la classica metodologia di analisi del reato, adattata ad una visione della materia penale strettamente ancorata ai principi costituzionali nel nuovo e consolidato significato multilivello, senza ignorare il diritto giurisprudenziale, che ormai da diversi decenni ha superato il limite illuministico della funzione ancillare del giudice rispetto alla legge.
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