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E' la storia avventurosa del salvataggio di un gruppo di bambini e bambine ebrei, provenienti dalla Germania e dalla Jugoslavia, in fuga dai nazisti. E' una storia felice per loro, che si chiuderà con l'arriva in Israele e, per qualcuno, in altri paesi. Ed è una storia che si interseca con quella del più malvagio dei collaboratori del terzo reich, il gran muftì di Gerusalemme, che riuscì invece a morire nel suo letto tranquillamente, senza mai scontare nulla per le sue malefatte, per il suo odio verso gli ebrei che collaborò alla grande con il regime nazista per farli scomparire dalla faccia della terra. Un malvagio che tuttora è venerato nella nazione araba, il precursore dell'Isis.
Recensioni
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Nel suo ultimo libro Bambini in fuga., Mirella Serri si avvale di una forte esperienza di saggista e di giornalista e la sua scrittura procede per brevi link, con il merito di muoversi in una rete di frammenti perduti nello spessore della storiografia. (...). L’autrice dà nome a persone che, perché consapevoli o solo per intuizione e sentimento, agiscono (e agire vuol dire rischiare la vita) con ruoli di autorità più umani o con l’accoglienza, per salvare un gruppo di ragazzi ebrei migranti dalla Germania verso la Palestina. Tra il 1941-1943, molte vite sono salvate da autorità militari e diplomatiche italiane che per più ragioni si oppongono ai tedeschi. A Zagabria i ragazzi sono affidati a Josef Indig, un giovane ebreo croato che ne diventa la guida; lasciano una Jugoslavia devastata e nel luglio del 1942 arrivano a Nonantola, in Emilia. Quando cade Mussolini, nel paese esultano abitanti e profughi ma i tedeschi occupano la zona e per la fuga dei ragazzi ebrei, allora, la solidarietà di tanti ha un crescendo vivissimo. È l’ottobre del 1943, sono accolti per breve tempo in Svizzera poi, attraverso la Francia, arrivano a Barcellona, dove aspettano il bastimento in partenza per la Palestina: Israele li accoglie nel maggio 1945, salvi. Nonantola era un paese ancora prospero e tranquillo, ostile al Duce, e Mirella Serri ricompone i frammenti – i pensieri e le azioni corali di una comunità, in un’unica immagine: soccorro il mio simile perché è a me simile; don Beccari e il medico Moreali sono i primi italiani accolti a Gerusalemme nel Memoriale dei Giusti. Nel capitolo l’Ultima tappa, l’immagine è sigillata con i nomi di Goffredo Pacifici e del ragazzo Salomon Papo, allora assassinati, ma per sempre “pietra d’inciampo” alla nostra memoria. Nella nozione di Giusto c’è il principio ebraico di responsabilità: chi ripara le azioni del Male vi oppone la sua azione di Bene: chi salva una vita salva il mondo. Quando Indig si interroga: “Come è stato possibile farcela? È veramente dipeso da noi?”, si può rispondere guardando a noi stessi: “Sì, dipende sempre da noi”.
Recensione di Maria Grazia Sancipriano
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