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Le avventure di Persiles e Sigismonda. Storia settentrionale - Miguel de Cervantes - copertina
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Le avventure di Persiles e Sigismonda. Storia settentrionale
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Le avventure di Persiles e Sigismonda. Storia settentrionale - Miguel de Cervantes - copertina

Descrizione


E' un corposo romanzo d'avventure corredato da tutti gli ingredienti del genere: ambiente esotico, tempeste, corsari, mostri marini, selvaggi, naufragi, rapimenti, streghe e lupi mannari, nobildonne e cortigiane, amanti violenti e amanti gelosi, duelli...
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Dettagli

1996
1 novembre 1996
628 p., Rilegato
9788831764483

Voce della critica


recensione di Poggi, G., L'Indice 1997, n. 3

Chi non conosce, o non ha perlomeno una volta sentito parlare, dell'allampanato cavaliere della Mancia che accompagnato dal suo fedele scudiero attraversa città e regioni della Spagna barocca alla ricerca di verità sempre più illusorie e di sempre più inevitabili disillusioni e sconfitte? Sto parlando, ovviamente, di Don Chisciotte e Sancio Panza, la strana coppia che ha dato notorietà a Cervantes decretandone il ruolo di iniziatore del romanzo moderno. Non così conosciuta (né così strana) è invece la coppia formata dai due protagonisti dell'ultima fatica del narratore spagnolo, quella Historia Setentrional che egli annuncia a più riprese nei prologhi delle sue opere e il cui filo si dipana così profondamente intrecciato a quello della sua vita da costituirne quasi una sorta di accorato congedo.
Troppo lungo sarebbe spiegare perché i quattro libri che compongono "Los trabajos de Persiles y Sigismunda" ebbero, nonostante l'immediata ripercussione seicentesca, sempre più scarsa risonanza nei secoli futuri e perché la stilizzata coppia che li attraversa non incontrò lo stesso successo di quella anomala, ma ben più realistica, del romanzo precedente. Ciò che invece possiamo fare è proiettare questa postuma testimonianza cervantina sullo schermo di una finzione che il narratore sembra avere per tutta la vita inseguito e che, già sperimentata nella forma italiana delle Novelle e in quella dialogica del Chisciotte, ritrova il suo archetipo più profondo nel rarefatto schema proprio del romanzo bizantino.
Ci aiuta in questa impresa la recente edizione italiana che del "Persiles" ha allestito, per i tipi della Marsilio, Aldo Ruffinatto. Edizione estremamente curata non solo per l'esatta resa nella nostra lingua della complessa, tortuosa (bizantina, appunto) prosa del romanzo, ma anche per l'esaustivo apparato critico che lo correda; anche, soprattutto, per lo splendido studio che lo introduce e che tende a svelarne i meccanismi diegetici e dunque a volgere in incipiente modernità quanto ancora di convenzionale, sbiadito, persino sciatto la critica gli attribuiva.
Già Carlos Romero, in una precedente, altrettanto pregevole edizione del romanzo, aveva posto l'accento sulla sua struttura e i suoi modelli di riferimento; già il compianto Maurice Molho, curandone una recente versione francese, ne aveva messo a fuoco il simbolismo e le interne simmetrie. Ora, a partire da questi e altri importanti interventi e forte della sua esperienza cervantina, Ruffinatto disegna, nel suo invito alla lettura del "Persiles", una lucida mappa di quei meccanismi narrativi con cui il grande scrittore si era più di una volta confrontato e che riemergono, quasi fili scoperti, nella sua estrema prova.
E invero nel "Persiles" l'ansia della narrazione si fa così evidente da innervare l'intera opera, disseminata da una serie di interrogativi e dubbi diegetici (i tempi del racconto, la liceità delle sue digressioni, i limiti della sua verosimiglianza) e condizionata da una distinzione sempre più labile di ruoli narrativi, tanto moltiplicati in seno al romanzo da fare aggio, quasi, sulla coppia che gli dà il titolo.
Perché se è vero che lo statuto del modello bizantino (l'inizio in medias res, la peripezia, il travestimento, l'agnizione finale e il finale raggiungimento della meta agognata) distanzia le coppie itineranti del Persiles da quelle del Chisciotte, è anche vero che nel "Persiles "come nel "Chisciotte" i personaggi narrati si volgono spesso e volentieri in narratori, e le loro peripezie in eventi, pretesti metadiegetici.
Questa sviluppata coscienza diegetica che sorregge il romanzo e che è per Ruffinatto la causa prima del "discreto fascino della metanarratività" che lo percorre, va letta come la controparte della materia meravigliosa che gli appartiene, di quegli spazi lontani e favolosi (l'"ultima Tule" da cui si dipartono i due protagonisti per arrivare fino a Roma) che, mentre danno ragione del suo sottotitolo, giustificano i ripetuti impulsi verso il soprannaturale in esso contenuti.
Categorie tutte che Ruffinatto mette a fuoco come riflesso di quel dibattito manierista sul verosimile che, se nel "Chisciotte" si calibrava fra menzogna e illusione, qui si estende ai confini della finzione e ai bordi di realtà immateriali quali il sogno, il pronostico, la premonizione.
Non con questo si vuol dare ai protagonisti del Persiles uno spessore psicologico estraneo al loro stesso statuto, e neppure accordare un eccessivo rilievo alle sfasature temporali suggerite dal carattere paranormale di certi suoi personaggi. Ciò che preme sottolineare è piuttosto la capacità di tenuta dell'ultima finzione cervantina, comprensiva degli ambiti più sconosciuti e degli eventi più misteriosi, anche se sempre avallati dalla spiegazione dell'autore e dagli orizzonti d'attesa del suo primo destinatario: il lettore. È questo forse il punto più suggestivo su cui fa leva l'introduzione di Ruffinatto. Nella misura in cui il critico delinea per il Persiles un duplice pubblico (quello convenzionale cui è diretta la narrazione segmentale degli avvenimenti e quello colto, capace di coglierne l'andamento ironico e soprasegmentale, e dunque di stabilire con l'autore una "divertentissima complicità") egli riscatta quest'ultimo documento cervantino dalla sua presunta incompiutezza affidandone la comprensione assai più che alle leggi del decoro, a quelle, imprevedibili, della ricezione.
Per cui anche la scelta del traduttore di rendere "trabajos" con "avventure" (là dove i precedenti traduttori avevano risolto con "traversie", "peripezie", "travagli", "sventure") se conferma da un lato la natura metadiegetica del romanzo (già sotto vari aspetti proteso verso quello, propriamente "di avventure", settecentesco) lo iscrive, dall'altro, in una serialità virtualmente infinita. Serialità che, mentre ridimensiona la cattolicità del "Persiles" (essendo la Roma papale verso cui tendono i due pellegrini frutto, più che di una dichiarata fede dell'autore, di un'ambigua adesione del narratore ai canoni tridentini e controriformisti), ne avvicina la struttura a quella di una telenovela dei nostri giorni. Una grande telenovela da leggere, ovviamente, e non da vedere.

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Miguel de Cervantes

1547, Alcalá de Henares

LA VITAQuarto dei sette figli di un modesto chirurgo, trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Valladolid, Salamanca, Siviglia e Madrid; qui, nel 1569, Juan López incluse in una sua relazione alcune poesie di C., definendone l’autore «il nostro caro e amato discepolo»: è questa l’unica testimonianza sulla sua educazione umanistica. Ma già dal 1568 C. si trovava in Italia, al seguito di Giulio Acquaviva: era fuggito per evitare la condanna al taglio della mano destra e a dieci anni d’esilio, decretata contro di lui perché ritenuto colpevole del ferimento di un tale Antonio de Segura. In Italia fu prima cortigiano e, in seguito, militare; la scelta della carriera delle armi lo fece partecipare alla battaglia di Lepanto (1571):...

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