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Perché un libro sui poveri cristi? A questo interrogativo si intende dare qualche risposta richiamando, anche in chiave critica, natura e ragioni del discorso pedagogico. 'Povero cristo' può significare un poveraccio, una persona da poco, ma anche l'uomo delle Beatitudini: il povero, l'umiliato, l'afflitto, il perseguitato, il non-oggetto di perdono. Povero è colui che ha poco o nulla e sa cogliere la vita con una ricchezza interiore a volte insperata; povero è chi rischia sulla quotidianità che spesso opprime; è colui che viene sopportato ma non ascoltato; colui il quale coglie ipocrisia e retorica con un mutismo denso di significato educativo. La cultura pedagogica è stata assai latitante su queste problematiche. Il 'povero cristo' ha sete di educazione, di perdono e deve spesso eclissarsi dai canali formativi ufficiali. Da queste sacche di povertà, così ricche di talenti, può emergere un'umanità nuova o questa umanità è già presente con una forza che gli altri non sanno e/o non vogliono ascoltare? Giuseppe Vico non indugia su colpevoli o condizioni negative ma sulla responsabilità intrinseca al vivere accanto, al servire, al prendersi a cuore la vita di chi soffre, ha fame e sete, non si vede riconosciuti pari opportunità e integrale rispetto della propria umanità. Difficile e inutile distinguere tra 'poveri cristi': la sintesi trascende le distinzioni grammaticali e di primato: 'cristo' è parola-avvento che si rivela, irrompe, supera frontiere e apre alla fede, alla speranza e alla carità nell'incontro personale con il Cristo. E 'povero' assurge a protagonista di rinascita e di resurrezione nel ristagnare della condizione umana su divari sempre più incolmabili. Vico è convinto che, anche nel nostro tempo, la povertà sia un''opera d'arte' e che gli artisti conservino ricchezza ispirativa ed espressiva per dare vita al bello, rompere il silenzio, accompagnare il cammino creativo delle comunità e promuovervi il desiderio di autonomia e l'educazione concreta all'autogestione e all'autogoverno.
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