Ugo Samaja nasce nel 1914 in una famiglia ebrea della borghesia triestina. Nel 1933 si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Padova, ma le Leggi Razziali del 1938 segnano una frattura nella vita sua e della famiglia: il padre perde il lavoro e Ugo si laurea nel 1939 solo grazie all’interessamento di un Docente. L’incontro con Lucilla, già sposata a un gerarca nazista, di cui il giovane medico si innamora a prima vista, segna un’altra svolta. Negli anni drammatici della persecuzione, l’amore tra lui ebreo al cento per cento e la giovane donna ariana è tumultuoso, contrastato, totale. Ugo è assunto come assistente medico dall’Ospedale di Melegnano, che però è costretto a lasciare nel 1942 quando si sposta a Milano che lo accoglie e gli dà la possibilità di sopravvivere alle leggi razziste. L’8 settembre 1943, Ugo e Lucilla decidono di affrontare insieme ogni ostacolo: dopo vicende rocambolesche, si rifugiano in Valcanale nelle montagne del bergamasco, dove cooperano con la Resistenza e crescono interiormente, uniti da esperienze al limite, appassionanti e coinvolgenti. Alla Liberazione, si stabiliscono a Milano dove Ugo riprende la sua professione di medico, diventando Primario Ospedaliero e Libero Docente in Patologia Speciale Medica. Alla scomparsa di Lucilla nel 1987, Ugo diceva spesso che questa è anche la data della sua morte. Come “morto vivente”, ha frequentemente la tentazione di lasciarsi andare ai ricordi e perseguire quella che poi definisce l’autopsia della sua vita. Si convince che la sua è un’esperienza da non disperdere, e raccoglie quelle testimonianze per farle vivere anche dopo la morte. Finisce di scrivere la sua autopsia solo qualche settimana prima della morte nel 1995, 8 anni dopo Lucilla, la cui seconda edizione (Montabone Editore) vede ora la luce a cura di Silva Bon.
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