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Il volume è edito da Controcorrente che pubblica libri sul revisionismo storico, il meridione borbonico, il brigantaggio postunitario e scritti di autori come Evola, Rauti e R. Sermonti. Queste premesse avrebbero dovuto mettermi sull'avviso, ma ho creduto comunque di procedere all'acquisto. Giano Accame, giornalista già repubblichino e dirigente missino, verga la prefazione introducendoci al personaggio che, ritiene appartenga, più di altre figure del dissidentismo fascista (cita Forni, Misuri, Lumbroso, Sala e Filosa, cui aggiungerei Corgini, Baroncini, Torre e Marsich), alla sfera del mito (e reitera le parole "mito" e "leggenda" fino a diventare stucchevole). L'Autore, che la terza di copertina ci informa essere collaboratore de "Il Secolo d'Italia" e "Il Domenicale" di Dell'Utri, stende invece una ricostruzione del pensiero politico di Padovani, suddividendo il suo lavoro in due parti: una di contenuto "dossografico", basata soprattutto su passi di saggisti fascisti come D. Susmel, G. Pini, Y. De Begnac e A. Tamaro, ma anche di storici successivi (De Felice, Lyttelton, S. Franco), l'altra dedicata ad una noiosa parentesi apologetica. Quasi completamenti assenti i cenni biografici, sottaciute le violenze squadriste, inesistente un pensiero genuinamente padovaniano (nel libro non è riportata neanche mezza riga attribuita al biografato), Picardo si limita a ribadire quanto già risaputo: il fascista di Portici fu uno dei "capitani del sud" con Villelli e Fanelli (e Caradonna, Razza, Postiglione, Di Crollalanza), camerata della prima ora, fedele al reducismo dei vari Carli, Vecchi, Mecheri, Messe, Zoppi, Bolzon e Bottai, di incrollabile fede repubblicana, fautore coerente ed intransigente di una rivoluzione sociale e popolare che si opponeva a corruzione, clientelismo e privilegi padronali del notabilato urbano e degli agrari campani, mali che troveranno rifugio nel regime anche grazie al nemico di Padovani, il nazionalista Paolo Greco. Tutto vero, ma tutto arcinoto.
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