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SOYINKA, WOLE, Mito e letteratura
ACHEBE, CHINUA, Attento 'Soul Brother'!
recensione di Concilio, C., L'Indice 1996, n. 2
Quando gli intellettuali e studiosi europei venivano accusati dagli scrittori africani di leggere i loro testi sovraimponendo le proprie ideologie, tradizioni, credenze e i propri "complessi", in risposta alle accuse si chiedeva che dal mondo africano venissero opere di estetica che fornissero la chiave interpretativa per quei testi. La replica estetica di Soyinka promuove proprio questa liberazione dal "condizionamento eurocentrico", nel tentativo di circoscrivere, senza per questo misconoscerle, le affinità per esempio tra mitologia yoruba e cristiano-ellenistica, ma più in generale tra la produzione artistica europea e africana, per chiarire invece la specificità dell'elemento "cultuale" presente nelle varie forme d'arte in Africa.
I termini del confronto non sono n‚ polemici, n‚ scontatamente anti-europeisti: Soyinka pone nella giusta luce taluni concetti, come quello di "ideologia", che mal si addice agli intellettuali africani, più propensi a riconoscere una "dimensione sociale" dell'impegno letterario e artistico in genere. Altra costruzione fuorviante è la categoria di "negritudine", che lungi dal restituire dignità al nero, non fa che posizionarlo quale termine di paragone negativo nella dicotomia che lo contrappone al bianco. Fissati questi margini, il discorso di Soyinka tocca varie forme espressive dell'arte africana, dal teatro al romanzo, dalla ritualità cerimoniale alla musica.
La rosa di autori scelti per argomentare una concezione del tempo circolare che tiene conto degli antenati, come dei non-ancora-nati, di un passato e di un futuro cui rimanda contemporaneamente la voce dei viventi; una forma di teatro che è "mezzo affettivo, razionale ed intuitivo" per esprimere la totalità dell'esperienza umana; una scrittura che vuole essere di protesta, contro "la traditrice realtà delle nazioni indipendenti dell'Africa di oggi", e il colonialismo arabo o europeo, religioso o politico-economico, costruisce un quadro di panafricanismo culturale che coinvolge la Nigeria, il Ghana, il Senegal, aree francofone e anglofone. E il Sudafrica, di cui Soyinka segue attentamente gli sconvolgimenti sociali, come i fatti di Soweto del '76, cui aveva dedicato il poema "Ogun Abibimañ", che associa il dio guerriero della mitologia yoruba, Ogun, all'eroe dell'epica sudafricana, Chaka, alludendo a una simbolica unità sovranazionale; oltre che nell'88 "Mandela's Earth and Other Poems".
La vasta panoramica trova la sua ragion d'essere in un dialogo intessuto tra diverse culture: della mitologia e cosmologia yoruba Soyinka illustra le varianti caraibica e brasiliana, per cui non stupisce più l'importanza che uno scrittore come Wilson Harris, originario della Guyana, assegna a un discorso letterario dedicato ai non-ancora-nati. Più noto in Italia come romanziere e drammaturgo, vincitore del premio Nobel nell'86 e attualmente esule a Parigi per ragioni politiche, ma anche apprezzato poeta, nelle vesti di critico Soyinka fornisce i necessari tasselli affinché l'Africa, soprattutto quella disegnata nel secondo dopoguerra dall'indipendenza e dall'emancipazione coloniale, smetta di essere un "vuoto metafisico".
Tra i nomi citati da Soyinka e da lui stimato quale scrittore "autenticamente africano", vi è il nigeriano Chinua Achebe, romanziere e autore di racconti, di cui ora vengono presentate le "Poesie". Le trenta poesie della raccolta hanno dato vita a un "libro", suddivise come sono in cinque capitoli comprendenti un prologo e un epilogo. Il progetto poetico che ne emerge sembrerebbe articolarsi per diadi e triadi (due capitoli di cornice vs tre capitoli centrali) che vedono opposti inizio e fine; guerra e amore; mentre il terzo dei capitoli centrali presenta un titolo tripartito, "Dei, uomini e altri". Nel prologo, la commozione dell'io poetico di fronte a una piantina che si erge da un tetto di cemento, vista da un anonimo ufficio che potrebbe essere a New York come a Roma, è motivata dal fatto che si tratta di "una piantina di mango appena germogliata / rossa bifoglie... / Lei dal rosso passò a / un verde malato / prima di morire. Oggi la vedo ancora, / secca, sottile come un filo / nel sole e nella polvere dei mesi d'arsura, / pietra tombale su piccole macerie di coraggio e passione". Che sia questo il tradimento dell'indipendenza di cui parla Soyinka? È viene da domandarsi (il componimento è del '68, scritto durante la guerra civile) -; nata dal sangue della lotta, nutrita di speranza e poi affamata dalla moderna corruzione? Oppure, secondo la lettura dei critici, è in questione l'aridità di un'oggettività non più redimibile n‚ nella favola, n‚ nel mito di una pioggia venuta a sanare la disputa tra Cielo e Terra. Inquietante è poi la visione metafisica dell'io poeta "Esploratore", che tra i rottami di un aereo caduto riconosce la maschera del proprio volto inespressivo per poi "trovarsi faccia a faccia all'improvviso un corpo / che non sapevo neppure di avere".
Poiché i saggi di Soyinka ristabilivano il giusto equilibrio tra influenze cristiane e cultura africana, non sorprende la trasposizione del ritratto di una Madonna con Bambino nella realtà della denutrizione e della guerra, in "Madre e figlio profughi": spartire i capelli sulla fronte del bimbo, quello che "in un'altra vita" sarebbe "un piccolo atto quotidiano / privo d'importanza tra colazione e scuola: / ora lei lo faceva come ponendo fiori sulla minuscola tomba di un bambino". Il laconico "Raid aereo" ritrae invece un uomo troppo lento ad attraversare la strada e per questo dilaniato da una bomba; mentre in Un se della Storia si ricorda che se Hitler avesse vinto i crimini di guerra passerebbero per atti eroici e gli assassini per idoli.
Nelle poesie-non-di-guerra è l'amore a essere rappresentato come lotta tra opposti; mentre all'amico è rivolto un monito in forma di preghiera nella lirica che dà il titolo alla raccolta: "Attento fratello nero / alle lusinghe dell'ascensione ... / perché altri ci saranno quel giorno / fermi in attesa coi piedi di piombo, sordi al suono, / attratti solo dalle profonde viscere del nostro suolo". In "Fraintendimento" si fa cenno invece a un proverbio nigeriano: "Dove c'è Qualcosa, ci sarà anche Qualcos'altro": espressione di un'estetica, quella igbo (altra etnia nigeriana) che privilegia la diade e la ripetizione (nel caso specifico la presenza di due donne nella vita dell'io poetico), il faccia a faccia dell'Uno con(tro) l'Altro, rapporto e scontro minimo duale tra Cielo e Terra, tra uomini e divinità. Come nella terza sezione, in cui vengono presentate divinità capricciose "come bambini" ma facilmente raggirabili, come in "Punizione della divinità", dove vittime dell'incendio della capanna sono solo i lari protettori della famiglia. "Lamento del pitone sacro" è invece il riadattamento di una canzone presente nel romanzo "La freccia di Dio" (1964), in cui il serpente, figura centrale nella cosmologia yoruba, si sente ora minacciato da una nuova divinità. La stessa amarezza si legge nell'epilogo, nella voce di un uomo che come Soyinka vede nell'elemento rituale e cultuale il punto di forza di un'africanità che tocca al poeta, talvolta pper questo deriso, recuperare
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