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quella di A., oltre a una serie non indifferente di errori (es: il Texas non è stato conquistato nella guerra del 1848), è un’analisi di una faziosità sconcertante e di una ingenuità da scuola elementare: gli USA non sono la Fatebenefratelli, ma uno stato che persegue i suoi interessi. Sensazionale! il libro sembra redatto in un ufficio del Komintern, proprio a volere essere teneri. Sentite qua: nell’intro, è stigmatizzata la “rapace rincorsa ai profitti di una rete capitalistica globale”. Sul I dopoguerra, A. resta ancorato alla preistoria storiografica sull’isolazionismo USA:nemmeno una parola sulla politica estera finanziaria degli Anni Venti (Piani Dawes e Young). All’inizio della IIGM, Roosevelt si rifugia in una “ambigua neutralità”.Ma il bello viene dopo.A. sorvola completamente sulla brutale politica sovietica nell’Europa dell’Est, e fa risalire l’origine della Guerra Fredda al “presupposto” dell’aggressività dell’URSS, frutto di psicosi a stelle e strisce. Ad esempio, le pressioni sovietiche sulla Turchia mirano non a finlandizzarla, ma solo a “tenere a bada l’influenza statunitense”. E sulla questione tedesca: una totale armonia di intenti, sottintende A., finchè con l’istituzione della Bizona non si compie un “primo passo per il rovesciamento dell’alleanza antinazista”, come un fulmine a ciel sereno. Il Piano Marshall? Per colonizzare l’Europa. La guerra di Corea? “Utilizzata da Washington per colpire i comunisti cinesi e l’URSS”.E io che pensavo fossero stati i comunisti ad aver aperto le danze. A questo punto mi sono fermato, in nome della decenza. Sconsiglio vivamente questo libro, scritto da un sedicente quanto imprecisato “studioso” dei paesi afroasiatici. Studioso? Da bar dello sport, questo sì. Se volete un libro di storia, peraltro non agiografico nei confronti degli USA, leggete piuttosto Destini incrociati di Mammarella.
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