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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2016
Non lasciatevi sviare dal titolo: il piacevole volume di Krippendorff non è un manuale per disobbedienti, anarchici e insurrezionalisti; è invece un invito, ben scritto e argomentato, a riflettere sulla condizione di cittadini di stati democratici e a non abdicare alla propria autonomia di pensiero e giudizio critico di fronte a chi ci governa. La politica, ossia l'insieme di regole, norme e decisioni concrete che costituiscono la vita comune, non può fare a meno del politico, ossia dell'atteggiamento critico e vigile di chi alle norme e decisioni dell'autorità è sottoposto: questa è, secondo l'autore, la condizione concreta per un governo legittimo, trasparente e aperto allo scrutinio pubblico.
Krippendorff non propone una teoria o un criterio per la legittimità politica, un criterio che l'autorità e i suoi rappresentanti devono soddisfare per potersi ritenere legittimi; le sue considerazioni non si rivolgono al potere, ai governanti, ma ai governati che in una democrazia sono cittadini e, di diritto, autori dell'autorità. In altri termini, si rivolge a tutti noi per richiamarci alle responsabilità della comune vita politica da cui nessuna ingegneria costituzionale perfetta, nessuno stato ottimo, nessun governante straordinario potrà mai assolverci. La legittimità di una democrazia è data dall'esercizio delle capacità di giudizio critico dei cittadini e dalla discussione pubblica in cui le scelte politiche, le leggi e le forme di vita vengono vagliate nella loro dimensione etica e di giustizia. Il bersaglio critico di Krippendorff è la sottrazione della politica alla discussione pubblica e la sua appropriazione da parte dei ceti professionali dei politici e degli scienziati politici e sociali, che sarebbe responsabile dell'atteggiamento pragmatico a scapito della riflessione etica.
Se la politica è troppo importante per essere lasciata ai politici, l'alternativa viene suggerita recuperando nella storia atteggiamenti diversi, sia nella ricostruzione genealogica di ciò che è politica, a partire dalla storia di Caino e Abele e dai miti greci, sia in figure storiche esemplari, da Socrate a Gandhi, da Confucio a Goethe, che rappresentano un'appropriata interpretazione dell'ideale kantiano dell'autonomia e dello spirito critico, da una parte, e del rispetto eguale per gli altri, dall'altra. Il volume si compone così di una serie di capitoli, in origine lezioni o conferenze, dedicate ciascuna a una fase storica, a un problema o a un personaggio, da cui l'amore proprio della cultura tedesca per la Grecia classica e la musica balzano in primo piano. Pur dotta e ricca nei suoi riferimenti enciclopedici, la scrittura non è mai un esercizio di erudizione, ma rimane avvincente e accessibile tanto da consigliarne la lettura per l'educazione civica delle scuole superiori. L'intento di motivare la necessità dell'impegno per la politica e di evidenziare le basi etiche della stessa è fondamentale e assolto in maniera persuasiva.
Ci sono tuttavia alcune affermazioni problematiche che nella discussione più tecnica della filosofia politica non si possono tralasciare. Innanzitutto l'atteggiamento di separazione della politica dall'etica non è frutto di una recente degenerazione postmoderna del ceto politico, ma vanta una tradizione millenaria, ha un nome tecnico, realismo politico, e una data d'inizio col discorso di Trasimaco nel I libro della Repubblica platonica. Curioso che un fine conoscitore della cultura classica che pure dedica tanto spazio a Socrate, Sofisti e Platone dimentichi Trasimaco che definì la giustizia il vantaggio del più forte, inaugurando così la influente concezione imperativistica del diritto da Hobbes in avanti.
Secondariamente, se ci sono buone ragioni per criticare il realismo politico in nome dell'importanza dell'etica, resta da esaminare di che cosa si intenda per etica. Non vivendo più nel medioevo cristiano, dove l'etica era una, universale, con la Chiesa come interprete ufficiale, il problema non è di poco conto ed è, in realtà, ciò che ha decretato nel Novecento il successo del realismo politico. Da più di trent'anni la filosofia politica normativa (cioè non-realistica) si occupa del problema di disegnare un'etica pubblica che sia ragionevolmente accettabile e giustificabile da parte di tutti i cittadini, anche quelli potenziali, a dispetto della pluralità delle convinzioni, delle tradizioni morali e religiose presenti nella nostra società. Certamente i principi e le regole cui Krippendorff si richiama, ossia l'eguaglianza, il rispetto, l'autonomia, la terzietà del giudizio, la disponibilità all'ascolto, la consapevolezza della propria imperfezione, il senso di giustizia, sono esattamente gli ingredienti di quell'etica pubblica, che tuttavia non si possono dare per scontati, ma richiedono sia di essere interpretati, sia di essere giustificati per avere la portata universale che egli assegna loro.
Infine, altro punto centrale e assai controverso, è la distinzione e priorità della giustizia sul bene che la politica classica non distingueva, ma che Kant ha introdotto con forza; distinzione che diventa particolarmente strategica nel pluralismo contemporaneo. Ci sono tante idee su che cosa sia bene, come si debba vivere una vita degna, e cosa sia virtù, ma principi e norme di giustizia dovrebbero essere trasversali: eguali diritti fondamentali, rispetto, tolleranza, imparzialità e antidiscriminazione dovrebbero attraversare le diverse e spesso incompatibili visioni del mondo e religioni e unire politicamente l'umanità.
A.E. Galeotti insegna filosofia politica all'Università di Torino
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