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L' arte della guerra. Da Sun Tzu a Clausewitz - copertina
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Descrizione


Combatttere non è un gioco, in guerra si uccide e si muore; la sofferenza, la paura e la disciplina ne sono la sintassi inevitabile. I migliori scrittori di arte militare lo sanno bene: lo sa Arriano quando analizza con freddezza tecnica lo schieramento della fanteria pesante ellenica, lo sa Federico di Prussia quando valuta i problemi logistici degli eserciti del XVIII secolo o Sun Tzu quando si presenta al re affermando di essere pronto a seguire i suoi ordini nelle condizioni più difficili, "attraverso il fuoco e l'acqua". La guerra è un inferno; è anche un'equazione con troppe incognite, un duello incessante non solo con il nemico, ma con un insieme di elementi che sfuggono a ogni possibilità di controllo: il caso regna sovrano sulle vicende belliche. A voler ben vedere, l'arte della guerra potrebbe essere definita come il tentativo di controllare, nei limiti del possibile, questa invadente casualità. E per questo che nasce la scienza militare.
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Dettagli

2009
5 maggio 2009
CLIX-794 p., ill. , Rilegato
9788806197902

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Libro sontuoso. Lo adoro, racchiude in sé perle di saggezza militare e trattati di decine di grandi strateghi del passato. Certamente il prezzo è elevato, ma sono soddisfatto per ogni euro speso.

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Voce della critica

Il volume ha una veste importante, in cofanetto, ed è una raccolta di scritti classici sulla guerra, tuttavia non è una semplice compilazione di trattati militari e, finalmente, non è il solito manuale che elargisce consigli su come vincere le guerre o battere la competizione nei mercati finanziari o in quello dei frigoriferi (invariabilmente somministrati da chi ha perduto, è fallito o vuole truffare). Non è neppure il nostalgico memoriale di un generale in pensione. Il curatore della raccolta, Gastone Breccia, insegna storia bizantina alla Facoltà di Musicologia di Cremona, sede staccata dell'Università di Pavia. Quindi appare improbabile che Breccia sia stato indotto a questo impegno dalla necessità di fornire un libro di testo per i suoi studenti. Ma anche se ciò fosse, sarebbe un motivo in più di apprezzamento, visto che nulla come la guerra può insegnare a capire la vita, la storia del potere, la politica e l'umanità.
Di meriti, Breccia ne ha guadagnati tanti con questa opera. La sua introduzione e le sue annotazioni, per dimensione, approfondimento e vivacità intellettuale, costituiscono un altro vero trattato che si affianca a quelli storici e che li spiega, li ordina e li collega. La particolarità più interessante del libro sta proprio nel nesso culturale e professionale del suo curatore. La profonda conoscenza della storia bizantina consente a Breccia di costruire quel percorso ideale fra Oriente e Occidente che per secoli era stato ritenuto azzardato o impossibile. Da Sun Tzu a Clausewitz ci sono duemila anni di differenza temporale e poche coincidenze concettuali. Ma da Sun Tzu a Maurice de Saxe ci sono gli stessi anni e molte analogie. Sun Tzu è il primo esponente di una folta schiera di teorici della guerra fra stati, dell'economia delle forze, della preservazione delle risorse, del primato dell'intelligenza sulla forza bruta. Egli segna il passaggio della guerra dalla rissa alla scienza sociale. Sun Tzu dice cose non molto diverse dai condottieri greci e da molti romani, persiani, arabi e dai nostri strateghi bizantini, medievali e perfino moderni. Oggi molti lo citano per fingere di ispirarsi al suo pensiero con la guerra tecnologica e inutilmente dispendiosa, ma in realtà lo contraddicono. Clausewitz è diverso dai suoi stessi contemporanei e razionalizza la contiguità di interessi tra politica e strategia militare. Tutti quelli che lo hanno citato per fare tutte le moderne guerre di distruzione hanno finto di seguire il suo pensiero per perseguire i propri interessi.
Da Sun tzu a Clausewitz ci sono due continenti, due culture, due filosofie e vari sistemi imperiali di differenza. Ma fra questi estremi geografici e culturali ci sono infinite altre culture, altri imperi, altre umanità che hanno fatto la guerra basandosi sugli stessi principi e che li hanno modificati o adattati a seconda delle esigenze e degli strumenti a disposizione. Gastone Breccia non fa il classico ponte fra Oriente e Occidente, perché in realtà non si può passare da un punto all'altro del globo culturale pensando che in mezzo ci siano soltanto buio, barbarie o ignoranza. Il sentiero di Breccia si trasforma in rete e mette in evidenza la connessione profonda tra Est e Ovest passando per e non ignorando ciò che sta in mezzo. Assieme agli ovvi imperi cinese e romano, parla di India, di mondo musulmano, di Persia, di impero ottomano. Anche l'ambito della musicologia sembra aver influenzato la composizione del libro. I classici scelti e quelli descritti o soltanto citati nelle note hanno brani e ritmi diversi. Il tema di base è lo stesso, ma le melodie cambiano, talvolta impercettibilmente e talvolta drasticamente, grazie alla scelta di autori sconosciuti alla gran parte del pubblico e perfino dei militari. Ci si ritrovano concetti che sembrano fraseggi ripetitivi e intuizioni nuove che rimangono sempre tali perché mai applicate. Da Sun Tzu a Clausewitz si stabilisce il primato delle informazioni, dell'intelligence, dello spionaggio. La strategia si mescola e confonde con gli stratagemmi che hanno la stessa radice e la stessa importanza, ma non sempre hanno avuto lo stesso rango. Da Sun tzu e Sun Bin la guerra è un affare serio dello stato: è la politica, come ripetono tutti i grandi strateghi fino a Machiavelli e, dopo Clausewitz, tanti altri fino a Carl Schmitt.
Questa coincidenza viene interrotta da Clausewitz, che si arrovella sui cento significati della guerra e che passa alla storia per un aforisma che forse è un'alterazione involontaria del pensiero. La guerra come "prosecuzione della politica con altri mezzi" tende a giustificare i mezzi in relazione ai fini politici. Ed è un disastro. Il continuum tra politica e guerra diversificato solo dai mezzi porta alla priorità politica della distruzione rispetto alla conservazione delle risorse, comprese quelle del nemico. Quella di Clausewitz è la conseguenza logica di un processo mentale inedito, ignorato e perfino contrastato da tutti i trattati di guerra precedenti, e profondamente sbagliato. In realtà la guerra che si pone il fine politico della distruzione è la fine della politica. La coincidenza tra politica e guerra significa invece che anche l'uso della forza deve rispettare gli interessi politici e questi non possono essere diversi dalla salvaguardia dello stato, dalla preservazione delle risorse, dal rispetto del nemico e della legge. "Come si rende forte l'esercito? Rendendo la nazione prospera" dicevano gli antichi cinesi. E ancora: "Il generale che persegue la vittoria a tutti i costi porterà la nazione alla rovina". "Negli assedi, come nelle malattie è meglio il digiuno della spada", diceva Cesare. "Quando sarete nella terra dello scellerato non rovesciate i suoi altari, non uccidete donne e bambini, liberate i prigionieri", diceva l'Arte dei Marescialli.
La sinfonia di Breccia comprende brani insoliti e stupendi, come quello di Flavio Arriano che, descrivendo il dispositivo del suo esercito di Cappadocia contro gli Alani (I secolo), enumera e distingue le provenienze dei soldati dando un'immagine perfetta della complessità e dell'organizzazione dell'impero romano in battaglia. Arcieri di Petra, cavalieri iberici di stanza sulle Alpi, Iturei dal libano, Cirenaici della libia, Italici, fanti del Bosforo, Numidi, lancieri della Colchide, giavellottisti di Rhizion, Apuli, Armeni. Mai nessun altro impero ha saputo far combattere popolazioni così diverse come un sol uomo e secondo la specialità e la predisposizione migliore di ciascuna. Ci sono poi i brani bizantini, per nulla affetti da bizantinismo, di Maurizio e Niceforo II Foca, quelli arabi di al Andalusi, e quelli di De Balsac, Smythe, de Guibert, Lloyd e altri sulle varie forme della guerra tradizionale. Breccia non include tutti i più famosi trattati sulla guerra. Non vuole fare un'enciclopedia, ma tracciare un percorso.
E nella sua compilation non tralascia il saggio sulla guerra d'insurrezione in Italia scritto da Carlo Bianco di Saint Jorioz nel 1830. E forse è proprio quest'ultimo a svolgere la funzione di una messa da requiem per l'intelligenza, l'umanità e la razionalità della guerra. Il saggio incendiario sulla guerra di bande di Bianco è un reperto storico del nostro Risorgimento. Bianco non inventa la guerriglia, ma esplicita e giustifica tutti i mezzi che oggi definiamo terroristi. Differenzia l'insurrezione popolare contro un oppressore dalla guerra fra re e re, fra tiranno e tiranno e fra repubbliche consolidate, e non esita a ribadire che nella guerra d'insurrezione non c'è quartiere, tutte le leggi e i costumi di guerra cessano di essere validi e perfino i prigionieri vanno trucidati. Dopo di questo, Clausewitz e tutti coloro che hanno condotto guerre di massacro in suo nome, appaiono obsoleti. Mentre risultano coerenti tutti quelli che oggi adottano gli stessi criteri per combattere le guerre del terrore, del contro-terrore, le guerre d'insurrezione e quelle di contro-insurrezione. Le guerre che i più grandi e potenti eserciti del mondo uniti o sparpagliati faticano a combattere e non riescono a vincere.
Fabio Mini

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