Introdotto nel codice civile dal 46° comma dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, intitolata «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», l’art. 230-ter riconosce alla persona «che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa» del convivente di fatto una tutela che richiama in modo evidente il modello disegnato dall’art. 230-bis cod. civ. per l’impresa familiare. Sulla scorta delle critiche che la dottrina ha mosso alle scelte compiute dal legislatore della novella, tacciato in particolare di aver circoscritto troppo i diritti del convivente, soprattutto se raffrontati con quelli attribuiti dall’art. 230- bis cod. civ. ai familiari lavoratori — i quali partecipano significativamente non soltanto ai risultati economici dell’impresa, ma anche alle decisioni più importanti che la riguardano —, il volume si propone di individuare le ragioni per le quali il legislatore del 2016 ha omesso di disciplinare diversi profili considerati dalla letteratura come meritevoli di attenzione, in particolare, il diritto al mantenimento, la prelazione sull’azienda, il lavoro prestato eventualmente nella famiglia del convivente imprenditore. Per la soluzione dei problemi che ciascuno dei presupposti richiesti per l’applicazione dell’art. 230-ter cod. civ. solleva all’interprete, viene riservata grande attenzione alla genesi e alle norme dell’impresa familiare; a queste ultime, anche ai fini dell’individuazione dei criteri da adottare per quantificare la partecipazione del convivente (dell’imprenditore) agli utili e agli incrementi, e per determinare il momento in cui può esigerli. Ampio spazio è dedicato alle ulteriori questioni, di diritto sostanziale e processuale, coinvolte dall’articolo indagato, nonché agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali su ognuna di esse.
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