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Sento spesso dire che gli imprenditori del secondo dopoguerra e dei decenni successivi hanno distrutto l'ambiente. Certo, ci sono quelli che per il dio denaro sono disposti a qualsiasi delittuosa azione. Ogni categoria sociale ha le sue pecore nere. Quindi è sempre sbagliato generalizzare. Ad esempio chi disprezza in blocco tutti gli imprenditori dovrebbe leggere "L'ardua impresa", autobiografia dell'imprenditore trevigiano Elio Ciabatti. Come migliaia di piccoli, medi e grandi industriali italiani che iniziarono l'attività con pochi soldi e contando solo nel proprio ingegno, Ciabatti dovette superare incredibili difficoltà non solo economiche, ma anche burocratiche e sindacali. Per quelli che non conoscono nulla delle condizioni economiche, sociali e materiali della stragrande maggioranza delle famiglie italiane, ecco un ritrattino che ci farà capire meglio di un trattato di sociologia la povertà dell'ambiente del dopoguerra in cui operarono gli imprenditori come Ciabatti. Nel 1945 migliaia di città erano semidistrutte (e alcune distrutte). Milioni di cittadini abitavano in case che oggi sarebbero considerate fatiscenti. Basti sapere che moltissime famiglie italiane non possedevano l'acqua corrente e il bagno in casa. Ovviamente non possedevano il frigorifero, la lavatrice, l'aspirapolvere, il telefono e una radio. Gli arredamenti erano pochi e poveri mobili. Il riscaldamento si otteneva attraverso stufe a legna e carbone. L'acqua per lavare gli indumenti e le persone doveva essere riscaldata con la stufa e versata nei mastelli. Pochi possedevano più di due o tre vestiti e due o tre paia di scarpe. Quasi tutto il salario di un operaio era speso per il cibo. Non credo che le attuali generazioni avrebbero fatto meglio dei loro padri o nonni.
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