Spesso i libri fatti assemblando saggi pubblicati sparsamente soffrono di disorganicità, ma questo volume costituisce una contravvenzione alla regola per la sua una notevole uniformità. A una lettura d'insieme, le varie indagini particolari si presentano infatti come la messa a fuoco, per approssimazioni successive, di un tema unitario. Articolata soprattutto attorno alle figure di Gramsci e di Croce, l'analisi si presenta come una sorta di serena palinodia del tentativo egemonico che era nei disegni del comunismo italiano. L'indubbio ripensamento dell'autore, però, non si atteggia come un'abiura, dove fermentano umori risentiti, bensì come un tentativo di intendere quella vicenda nel quadro della storia del nostro paese. In tale angolazione interpretativa anche alcuni degli argomenti affrontati, che appartengono a una stagione conclusa per sempre (discussioni sulla storia del marxismo italiano, o sulle interpretazioni di Gramsci), ritrovano un loro senso; parte di un ripensamento nel quale l'autobiografia trova una piena catarsi conoscitiva. Poste tali premesse, risulta quasi naturale che colui il quale, in un celebre giudizio gramsciano, era definito "il reazionario più operoso" diventi una figura esemplare; la filosofia crociana non è vista solo come una costruzione concettuale rigorosa, ma è letta anche come autocoscienza morale dell'Italia. Il senso della pedagogia nazionale che presiedeva all'opera del filosofo viene fatto emergere con un'attenta lettura dei testi in cui la sottigliezza analitica è funzionale alla loro comprensione. Tramontate le magnifiche sorti del moderno principe, il libro è un invito a ripensare la cultura italiana del Novecento in alcuni dei suoi momenti più alti.
Maurizio Griffo
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