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Gli sferzanti e ironici apologhi scritti in volgare da Pandolfo Collenuccio (1444-1504), uomo politico e umanista al servizio dei potenti dell’epoca (Giovanni Sforza, Lorenzo il Magnifico, Ercole I d’Este). Nello Specchio d’Esopo, un vivace ricorrersi di favole, proverbi, enigmi e allegorie; nel Filotimo, una pungente satira di costume contro i rituali e le ipocrisie dei rapporti sociali.
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Gli "Apologhi in volgare", tanto per inquadrarli, furono scritti alla fine del Quattrocento, quando l'autore si trovava a Ferrara presso la corte di Ercole d'Este. Essi constano di due parti: "Lo specchio di Esopo" e il "Filotimo". Nella prima Esopo, con l'aiuto di Ercole, si reca al palazzo del Re, dove si trovano Plauto e Luciano da Patrasso, per offrire, al Re, un "cesto di apologhi, di quelli maturi e di bon terreno". Il Re li accetta di buon cuore, in quanto riconosce che questi apologhi sono in grado di pulire e purificare lo specchio dell'anima da tutti quei vizi, che nel corso della vita, l'hanno offuscato, riportandolo al primo splendore e cioè quando lucidissimo venne infuso nell'uomo, "spoglia mortal", dal "dator sommo". Nel "Filotimo", letteralmente "persone che amano essere ossequiate", si sviluppa uno stretto dialogo tra la Berretta e la Testa che la porta. Per Ercole la Berretta la si deve togliere solo davanti a quegli uomini che godono delle virtù intellettuali, oppure che posseggono le virtù morali, e non al cospetto di coloro " che la vanità e leggerezza de le berette attendono, senza farsi alcun peculio di quelle virtù che ricordato avemo."
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