Alla luce delle teorie "apocalittiche" della letteratura elaborate da Northrop Frye e Frank Kermode, nei quattro capitoli di questo volume vengono affrontati testi assai diversi fra loro e rappresentativi di fasi distinte della modernità, dalla fine dell'Ottocento al secolo presente. Si succedono nell'analisi un capolavoro del naturalismo tardo (I Viceré di Federico De Roberto, 1894), un romanzo "modernista" della Resistenza (Uomini e no di Elio Vittorini, 1945), un racconto molto sperimentale di un narratore cattolico (Il cane sull'Etna di Mario Pomilio, scritto nel 1967, a stampa nel 1978), un monumento cupo e fervido del nostro millennio appena iniziato (Dai cancelli d'acciaio di Gabriele Frasca, 2011). Pagine distanti per il momento e il clima di cui serbano il colore, per i retroterra inassimilabili degli autori, per le poetiche: ma ne emerge una condizione comune, dolente e inquieta. De Roberto, Vittorini, Pomilio e Frasca testimoniano infatti, ciascuno a suo modo, che l'inferno - quale secondo Frye può essere trasposto nelle metafore «demoniache» del reale che la letteratura produce - è divenuto, quasi, il luogo naturale dell'uomo, da quando non ci assistono più, col loro splendore remoto, le promesse della Storia che confortarono l'Occidente fino alla metà dell'Ottocento. Orfani, come tutti, delle grandi narrazioni collettive, questi scrittori sembrano rifletterne l'esaurimento in intrecci problematici e ambigui; non possono più sciogliere le peripezie in un finale che sia un approdo e una risposta, del genere di quelli ritenuti da Kermode risolutivi, in un racconto, come un'apocalisse. I loro personaggi restano ad aggirarsi nell'inferno; e insieme manifestano il bisogno di evaderne (col riso, con la profezia, col respiro di un'utopia) e di trovare, cosi, un'altra via per il senso.
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