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Ingredienti: un incidente che cambia una vita e il suo contorno, la perdita dei tre principali ideali (strada, musica, libertà), la voglia di chiudersi e isolarsi dal mondo, la riemersione lenta e autonoma da un abisso di sofferenza. Consigliato: a chi vuol confrontarsi con un dramma improvviso e irreversibile, a chi sa osservare i propri limiti con durezza e sincerità.
Credo che nascere con una disabilità sia una cosa, diventarlo da adulti, dopo aver avuto una vita sportiva, movimentata, trasgressiva, sia un'altra. Ed è lì che l'autore riesce meravigliosamente a trasmettere i suoi pensieri, la sua rabbia, il suo senso di impotenza. Non c'è nulla di pietistico, non si piange addosso ma neanche diventa il paladino dei disabili. Resta sospeso tra una grande incazzatura col mondo e, nello stesso tempo, una dolorosa presa di coscienza del suo nuovo stato, fino ad uscire, nelle meravigliose pagine finali, di altissimo livello letterario, dall'apnea.
Non basta avere una storia da raccontare, bisogna saperla anche raccontare. L'autore ci offre una dettagliata cronaca di quanto accaduto, infarcita di considerazioni personali a volte banali, a volte noiose, di episodi della sua vita prima dell'incidente che, lungi dal farci conoscere meglio il protagonista, risultano veramente poco interessanti e quasi inutili. E' chiaro che trattandosi di un'autobiografia parli di se stesso, ma alla fine non dice niente di veramente intimo e profondo. E' come se non fosse riuscito ad aprirsi ai lettori (del resto lo stesso autore parla di questa sua resistenza a confidarsi con amici e familiari sui suoi pensieri più intimi, già prima dell'incidente). L'autore rimane sempre troppo concentrato sul suo ombelico e la vicenda drammatica che ha vissuto è solo l'occasione per parlare di sé, così come succede a molti scrittori esordienti con storie personali anche più ordinarie. Spero almeno che scrivere questo libro gli sia servito a superare questo trauma, perché a me lettrice non ha lasciato assolutamente nulla.
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