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Quando si ha a che fare con un mondo lontano come l'antichità cristiana – parrà forse banale ricordarlo – occorre essere cauti e partire dai passi dove il termine "Anticristo" viene effettivamente impiegato evitando così di cadere nella trappola dell'anacronismo concettuale e dell'applicazione di categorie moderne (e dunque deformanti) al contenuto dei testi. Una scelta di metodo come questa determina gli esiti dell'intera operazione introducendone nella fattispecie gli elementi di potente novità. È così che si giunge a correggere le classificazioni più frequenti dell'Anticristo definito in passato come "mito" o come "leggenda" oppure variamente collegato alla generica "idea messianica": ora pare più opportuno considerarlo quanto meno per il periodo coperto dal volume come il prodotto di "una retorica esegetica e politico-teologica".
Forse non molti ricordano che il nome dell'oppositore messianico cristiano non compare affatto nei discorsi escatologici attribuiti dai sinottici a Gesù tanto meno nell'Apocalisse di Giovanni dove il nemico dell'agnello ha altri nomi. Generalmente si è soliti rileggere tali testi attraverso la lente di una dottrina formatasi successivamente nel migliore dei casi con l'illusoria consapevolezza di starne cercando proprio le "radici". In realtà come dimostrano i passi iniziali scelti dai curatori il termine Anticristo viene impiegato per la prima volta (peraltro al plurale) nelle prime due Lettere di Giovanni. E qui l'uso è chiaramente polemico riferendosi di fatto a coloro che negano la messianicità di Gesù. Ciò che a quel tempo costituisce un neologismo serve in realtà a indicare chi si oppone al Vangelo nella forma riconosciuta da chi scrive.
Abbiamo dunque un anticristo con la minuscola privo di coloriture escatologiche o mitologiche. Ecco allora che il lettore si chiede: ma dov'è l'Anticristo con la maiuscola? E qui emerge il contributo fondamentale del libro che individua in Ireneo di Lione il tornante decisivo nella storia di questa dottrina teologica. Lo scrittore antiereticale del II secolo è infatti il primo a impiegare il termine in questione per indicare il nemico dei tempi finali creando un ponte tra polemica antiereticale ed escatologia. Naturalmente una qualche oscillazione semantica successiva rimane ma con Ireneo l'idea di un'opposizione a Dio maligna ed escatologica proveniente dalla tradizione profetico-presbiteriale (a sua volta risalente a elementi dell'apocalittica giudaica) viene associata al neologismo eresiologico giovanneo.
Perché un'operazione del genere? Il nuovo Anticristo esiste per affermare la verità del cristianesimo della Grande chiesa rispetto alle speculazioni gnostico-marcionite e alle profezie ebraiche. Contro i dualisti si combatte una dura battaglia esegetica su un passo escatologico della seconda Lettera ai Tessalonicesi di Paolo (2Tess 2 8 ss.). In essa si parla di un oppositore empio della fine dei tempi in cui gli gnostici ravvisano un inviato del Demiurgo il dio dell'Antico Testamento. L'Anticristo ricolloca tale oppositore nell'alveo di un'ortodossia che unisce i due Testamenti e spiega in chiave cristologica le profezie veterotestamentarie senza ricorrere a un secondo Dio. Contro gli ebrei la faccenda è delicata: la mancata instaurazione di un regno messianico visibile spinge i cristiani a scegliere tra due opzioni fondamentali: l'interpretazione spirituale e trascendente del regno o l'approfondimento della dottrina della seconda venuta del Cristo. Ireneo millenarista convinto mette sotto la cristianissima etichetta di "Anticristo" l'oppositore finale delle profezie messianiche ebraiche. Come dire che seppure il regno millenario non si è ancora realizzato gli ebrei non possono comunque vantare una migliore comprensione delle Scritture.
Insomma l'Anticristo restituisce ai cristiani millenaristi il monopolio dell'esegesi scritturistica e contribuisce a spiegare il misterioso ritardo della parousia.
Fabrizio Vecoli
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