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Il terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo, e in particolare l’Aquila, all’inizio di aprile 2009 non ha permesso che si desse seguito a una iniziativa da tempo prevista: celebrare, cioè, i venticinque anni dalla scomparsa, 10 maggio 1984, dell’aquilano Angelo Narducci, giornalista (è stato direttore di “Avvenire” dal 1969 al 1980), deputato al Parlamento europeo, intellettuale cristianamente impegnato, uomo di cultura e poeta di un certo rilievo. Va perciò salutato con gratitudine il presente saggio che Giuseppe Merola ha dedicato a Narducci. L’interesse del lavoro sta, in particolare, nella collocazione della figura del protagonista in un quadro di riferimento che ne illumina in modo esauriente le ragioni e le coerenze ideali. Merola parte da una composizione di tempo e di luogo che riguarda la situazione della stampa cattolica in Italia e, al suo interno, i precedenti e la storia del quotidiano “Avvenire”, collocandovi il ruolo che Narducci ha svolto negli anni cruciali dell’avvio del giornale. Un ritratto che viene completato da tutta una serie di notazioni su una personalità che non si è limitata a svolgere una funzione di natura meramente professionale ma che, in essa, ha investito le qualità migliori dello spirito. Il giornalista, quindi, e insieme l’uomo, il cristiano, legato al rispetto della verità, ai valori della famiglia, degli affetti, dell’amicizia nonché alla presenza nel contesto della vita civile. Ai due capitoli storico–biografici segue un terzo di natura più strettamente critica: la valutazione del linguaggio utilizzato da Narducci nella redazione degli articoli di fondo, che per oltre dieci anni hanno costituito, come punto di forza, la linea politica del giornale. Giuseppe Merola, con questo libro, ha campìto un ritratto di Angelo Narducci che restituisce a quelli che lo ricordano — e non sono pochi — la statura morale e culturale di un professionista che ha fatto onore al giornalismo italiano e alla comunità dei cattolici.
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