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Andrea Lanzani (1641-1712). Protagonista del barocchetto lombardo. Ediz. illustrata - Silvia Colombo,Marina Dell'Omo - copertina
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Andrea Lanzani (1641-1712). Protagonista del barocchetto lombardo. Ediz. illustrata - Silvia Colombo,Marina Dell'Omo - copertina

Descrizione


Nato a Milano nel 1641, Andrea Lanzani si propone già ai suoi esordi come “l’interprete più nobile e consapevole all’interno dell’intera vicenda del secondo Seicento milanese” (Frangi, 1999). Autonomia di linguaggio e di scelte stilistiche che dichiarano un deciso affrancamento dalla tradizione del barocco cittadino sono ravvisabili già nella fase del suo apprendistato. Frequenta l’atelier milanese del perugino Luigi Scaramuccia, di stanza a Milano dal 1654, esercitandosi sui testi del classicismo centro-italiano, in particolare del filone emiliano, da Correggio al Reni e Domenichino, oltre che di Raffaello, a discapito dello stile roboante ancora in auge nelle botteghe dei Nuvolone, dei Montalto e di Ercole Procaccini jr. L’adesione al classicismo è definitivamente sancita dall’ingresso nella rinata Accademia Ambrosiana, della quale diverrà principe. Improntate a tali scelte linguistiche sono le prime opere lombarde tra le quali vanno ricordati i precoci affreschi di villa Visconti Banfi a Rho, il ciclo della Veronica alla Certosa di Pavia e infine la pala nella chiesa milanese di San Giuseppe, che risente fortemente anche dell’influenza di Andrea Pozzo. La propensione al classicismo trasse nuova linfa nel corso di un lungo soggiorno romano del quale rimangono alcune testimonianze a Roma in Palazzo Altieri e nelle Marche, che certificano l’inserimento del pittore nella bottega di Carlo Maratta. Al ritorno nella città natale il Lanzani continuò una brillante carriera esibendo il suo stile aggiornato in importanti cantieri cittadini o sparsi sul territorio dell’antico Stato di Milano e dei territori limitrofi (Monza, Como, Lodi, Pavia, Valtellina, Alto Lario, Riviera d’Orta), inaugurati da committenti sia religiosi sia laici: tra questi ultimi spiccano gli Archinto, gli stessi che in anni più tardi riuscirono ad aggiudicarsi un decoratore della vaglia di Giovan Battista Tiepolo. Assai ambizioso, il Lanzani si costruì anche la possibilità di sviluppare un percorso oltralpe, ottenendo significativi successi presso la corte viennese, coronati da un diploma di cavaliere ivi conferitogli dall’imperatore. I lunghi soggiorni mitteleuropei, come dimostrano gli stupefacenti affreschi del castello di Slavkov in Moravia, lo avvicinarono alla pittura veneta, a contatto della quale il suo fare artistico acquisì una nuova sensibilità coloristica mirabilmente coniugata all’ottimo talento di disegnatore del quale si ha riscontro nel cospicuo corpus grafico del pittore, per lo più conservato nelle collezioni dell’Ambrosiana. I tratti del suo stile maturo, documentato per esempio dal telero per le Storie della Vera Croce del Duomo di Milano, o dai quadri da stanza oggi a Pommersfelden (Sant’Eufemia, Estasi di San Francesco) lo indicano come l’uomo nuovo che saprà traghettare la stagione del barocco cittadino verso un fare pittorico più leggiadro e cromaticamente raffinato, precorritore del gusto rococò internazionale.
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Dettagli

2008
17 gennaio 2008
216 p., ill. , Rilegato
9788889854020

Voce della critica

Il milanese Andrea Lanzani godette precocemente, e per tutta la vita, di fama e considerazione, salvo condividere la sfortuna critica della stagione "barocchetta" lombarda, fino a tempi recenti. Questo libro rappresenta infatti la prima monografia a lui dedicata, preparata in certa misura dallo spazio che gli fu assegnato nella seminale mostra sul Settecento lombardo (Milano 1990). Fin dalla sua prima attività, Lanzani frequentò gli ambienti giusti e godette di rilevanti appoggi: primi tra tutti quelli del vescovo di Tortona Carlo Settala (fratello del più noto Manfredo) e di Ercole Visconti di Saliceto, che tra il 1666 e il 1669 gli offrirono occasioni di lavoro, diversamente importanti, rispettivamente nel duomo della città piemontese e nella villa di delizie di Rho. Si trattava di un ambiente legato all'indirizzo classicista della Seconda Accademia Ambrosiana, nella quale Lanzani è già segnalato come giovane talentuoso nel 1672: infatti i suoi primi successi (alla Certosa di Pavia, in San Giuseppe a Milano) giungono sotto il segno filoromano di Antonio Busca e soprattutto del perugino Luigi Scaramuccia, principale maestro del pittore. Appare quindi ovvio un viaggio a Roma, compiuto tra il 1675 e il 1677, dove particolarmente importanti furono le presenze di Carlo Maratta e di Giacinto Brandi, e dove trovò modo di inserirsi in cantieri prestigiosi come quello di Palazzo Altemps. Segue un ventennio di attività lombarda, svolta con crescente fortuna, che lo vede arricchire il proprio linguaggio grazie al confronto con gli altri pittori lombardi (Porta, Vimercati, Abbiati) e soprattutto con Sebastiano Ricci. I riconoscimenti, prima alla guida dell'Accademia Ambrosiana nel 1684 e poi come principe della nuova Accademia di San Luca di Milano, sono l'antiporta della chiamata a Vienna al seguito del principe Eugenio di Savoia (1696-1708, con un breve ritorno in patria nel 1698): soggiorno ricco di opere, solo in parte sopravvissute, tra cui spicca la decorazione del castello Kaunitz ad Austerlitz. Gli ultimi quattro anni, trascorsi a Milano, vedono ancora capolavori, come l'Invenzione della Croce del duomo. Il formato intermedio permette un'apprezzabile maneggevolezza del libro, insolita in pubblicazioni di questo impegno. Piccoli errori (la chiesa pavese di San Tommaso non è distrutta) non inficiano il solido risultato complessivo.
Edoardo Villata

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